Il “giornale partito” è una anomalia comparsa all’inizio del 1976 con la nascita di la Repubblica. Partiti e giornali, prima, erano due soggetti diversi con compiti diversi. Eugenio Scalfari, il fondatore di ‘Repubblica’, ha usato una perifrasi per illustrare la sua creatura centauro: «Repubblica è un giornale politico, è meno di un partito ed è più di un partito».
Il dizionario Treccani ha dato questa definizione del “giornale partito”: «Giornale d’opinione che si propone come catalizzatore degli interessi dei propri lettori, alla stregua di un partito politico». Scalfari da zero creò un quotidiano di grandissimo successo: per decenni ha duellato con il Corriere della Sera per la palma di primo giornale italiano e, in alcuni casi, sconfisse la corazzata di via Solferino. Viaggiava, soprattutto nella mitica redazione di piazza Indipendenza a Roma, anche sul crinale record di 700.000-800.000 copie vendute al giorno.
La formula del successo fu l’invenzione del “giornale partito”. Dopo una primissima fase filo socialista, cambiò rotta. Individuò i “bersagli”: il Psi di Craxi e la Dc di Andreotti, Forlani, Gava. La strategia editoriale era di convertire il Pci di Berlinguer, il più grande Partito comunista dell’Occidente, in una forza liberaldemocratica. L’impostazione fu condivisa da Carlo De Benedetti, potente imprenditore italiano, per decenni editore della testata. L’obiettivo era di catturare i lettori comunisti. Con una grafica moderna e i titoli strillati l’impresa riuscì: sottrasse lettori e giornalisti all’Unità e a Paese Sera (alla fine i due giornali hanno chiuso i battenti); condizionò le metamorfosi del Pci in Pds-Ds-Pd in una chiave sempre più di matrice liberaldemocratica.
Con la Seconda Repubblica Scalfari e De Benedetti cambiarono bersaglio: nel mirino fu posto Berlusconi. Poi, gradualmente, Repubblica perse colpi e lettori anche perché gli elettori di sinistra, delusi dal Pds-Ds-Pd, in gran parte votarono per altri partiti. Fino ad arrivare all’emorragia di consensi verso i partiti populisti, il M5S di Grillo e la Lega di Salvini.
La famiglia De Benedetti nel 2020 ha ceduto Repubblica in crisi di vendite e in profondo “rosso” a John Elkann, ma il nipote di Gianni Agnelli non è riuscito a rilanciare il quotidiano romano. Anzi, la caduta delle vendite si è aggravata.
La lezione del “giornale partito”, però, non è andata persa. Diversi quotidiani l’hanno tentata con alterna fortuna. Negli ultimi anni il Fatto Quotidiano ha cercato di catturare con un certo successo i lettori di sinistra sottraendoli a Repubblica. Ha posto come “bersagli” Berlusconi, Renzi, Draghi. Il direttore del Fatto Quotidiano Travaglio si è fatto alfiere dei grillini e, in particolare, di Conte anche se ultimamente si è un po’ smarcato perché il presidente del M5S lo ha deluso affermando: Berlusconi «ha fatto anche molte cose buone».
Sul fronte opposto La Verità e Libero, invece, sono andati a caccia degli elettori di destra. Il direttore della Verità Belpietro ha sottratto lettori a Libero e al Giornale corteggiando i no vax. I “bersagli” sono Renzi, Conte, Draghi mentre le simpatie vanno soprattutto a Salvini.
La contrapposizione è netta su chi dovrà succedere a Mattarella come presidente della Repubblica. Il Fatto Quotidiano ha lanciato una petizione invitando i cittadini a dire no a Berlusconi al Quirinale. Il direttore di Libero Sallusti ha organizzato un’altra petizione in difesa di Berlusconi e dei leader del centro-destra.
Anche i “giornali partito” vivacchiano. La carta dei quotidiani centauro, mezzo giornale e mezzo partito, non è certo quella giusta per superare la drammatica crisi della stampa italiana. Giornali e settimanali patiscono un drammatico crollo delle vendite. Molte pubblicazioni (soprattutto le riviste) sono state cancellate. Non godono buona salute neppure le testate online o le versioni digitali di quelle di carta. Anche le televisioni, pubbliche e private, soffrono una caduta degli ascolti.
I “giornali partito” al posto dei partiti è una soluzione doppiamente sbagliata e grave: è un errore sul piano della distinzione dei poteri in una democrazia sana, è un errore sul piano commerciale (vendite e occupazione dei giornalisti continuano ad andare malissimo).
C’è un problema di scarsa credibilità dell’informazione, la qualità sprofonda. I lettori vedono una impaginazione confusa. Trovano poche notizie, poche inchieste, poche analisi con chiavi di lettura sul tumultuoso e confuso cambiamento della società italiana. Trovano invece i giornali trasformati in “tifoserie”, in continue corride politiche poco apprezzate.
Il disastro è enorme. Dagli anni ’80 i quotidiani hanno perso fino al 70% delle vendite. Come conseguenza c’è stato lo sfaldamento dell’occupazione. Il governo Draghi con la legge di Bilancio ha salvato le pensioni dei giornalisti prevedendo l’intervento dell’Inps al posto dell’Inpgi (la cassa di previdenza della categoria sull’orlo della bancarotta) dal primo luglio 2022. Le pensioni dei giornalisti forse sono state salvate, ma i giornali no. Serve una soluzione. Non si è mai vista una democrazia salda con pochi, o peggio, nessun giornale.
Certo, anche i partiti hanno i loro problemi. Anch’essi non godono di buona salute: sono leaderistici e poco o per nulla radicati nella società italiana.