Catherine Spaak, che
sapeva dire no, e no era

Ne hanno scritto tanto, esaltandone pregi e qualità, che come sempre accade, si “scoprono” e si riconoscono sempre “dopo”. Che sia stata un simbolo di qualcosa agognato una certa generazione lo sa bene. La generazione che ha conosciuto e frequentato luoghi che oggi non ci sono più: certe riviere, certi locali, anche certe scuole, cinema e “luoghi” in generale. 

Catherine Spaak, Catherine Spaak nel film "La matriarca"

Catherine Spaak nel film “La matriarca”

Chi, nella fotografia, privilegia le sfumature del bianco e nero a fronte di quelle ricche più abbaglianti colori non può che vagare in sognanti pensieri e invidiare quel mostro sacro del cinema non solo francese che le sta accanto; forse è una pausa de La Matriarca, di Pasquale Festa Campanile, non eccelso film del 1968, nonostante un cast di tutto rispetto: Luigi Pistilli, Renzo Montagnani, Gigi Proietti, Vittorio Caprioli, Gabriele Tinti, Frank Wolff, Paolo Stoppa, Philippe Leroy; o forse no: è di cinque anni prima, quando appare ne Il sorpasso di Dino Risi, sempre Jean-Luis Trintignant e Vittorio Gassmann. Catherine Spaak: è struggente, melinconico, quel breve scambio di battute da Bruno Cortona padre (Gassmann) e Lilly, la figlia (la Spaak): «Non lo so fare il padre, io. Vedi, un altro, qui al posto mio, hai saputo parlare, spiegarti», «No, sta zitto, almeno tu non cambiare, ti prego, papà». Chissà se Risi, Ettore Scola e Ruggero Maccari quando hanno steso la sceneggiatura con questi dialoghi, già pensavano a lei e su di lei l’hanno modellato. Più facile che sia stata lei, brava, ad “entrarci”. 

Catherine Spaak, Catherine Spaak e Vittorio Gassman nel film "Il sorpasso"

Catherine Spaak e Vittorio Gassman nel film “Il sorpasso”

Poteva risultare antipatica; forse una reazione all’essere stata troppe volte “scottata” da giornalisti e giornali: «Diffidente io? No, per niente. Ho perfino troppa fiducia nella gente. Solo che, quando hai dato un’intervista in cui hai detto certe cose e poi vai a leggerla e ne ritrovi delle altre che non hai mai detto, ci rimani male». Così Felice Laudadio in uno dei suoi Ritratti e autoritratti (Edizioni di Bianco e Nero), dove ti scorre il cinema italiano degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso). 

Non che non avesse carattere e idee chiare sul cinema e quello che gli ruotava attorno; da subito, quando ancora adolescente e acerba fisicamente, qualche film già alle spalle, viene lanciata dai Dolci inganni di Alberto Lattuada. Un personaggio femminile il suo, che anticipa e coglie tensioni e drammi di una generazione; che di quei fremiti e terremoti sarà protagonista e vittima. Eleganza non di maniera, dote che tutti le riconoscono, a prima vista algida; e per quel che riguarda il carattere tutto dice un aneddoto: «Certi produttori e certi registi (che contano sempre meno, giacché chi comanda nel cinema italiano sono i distributori e i noleggiatori), cercano di utilizzarci: proponendoci filmacci assurdi, ignobili, pornografici quando va bene. Mi è accaduto qualche tempo fa di vedermi proporre da un regista e da un produttore di questo tipo, un copione nel quale i passaggi più volgari erano addirittura stampati su carta rosa, mentre il resto era su carta bianca. Ho letto solo le prime righe di una delle paginette rosa e subito mi sono tolta una grande soddisfazione: ho afferrato a due mani copione e l’ho scagliato contro i due, riuscendo a colpire in pieno il produttore e in parte anche il regista. Un bel colpo. Poi mi sono sentita meglio». 

Sa dire “No”, e “No” è. 

Catherine Spaak conduttrice di Harem

Una discreta carriera come cantante; coscienziosa come giornalista-opinionista e conduttrice, in una televisione che sapeva essere educata, rispettosa del pubblico, con ancora un senso del decoro, col senso della giusta misura. Chissà se qualcuno la ricorderà per il teatro, dove pure ha dimostrato di valere: sul palcoscenico fronteggia un Domenico Modugno in piena forma, in quel Cyrano, commedia musicale scritta d Riccardo Pazzaglia e dallo stesso Modugno, ispirata all’opera di Edmond Rostand. Erano gli irripetibili anni a cavallo dei ‘70–‘80. Ci fosse, sarebbe cosa buona e giusta riproporre la registrazione di quella commedia. Molti oggi forse capirebbero cosa può essere il teatro, e cos’è stato: la sua magia, la sua grazia.