Nessuna intenzione di addentrarsi e metter becco nel contenzioso che oppone la “direttora” del Tg1 Monica Maggioni all’ormai ex mezzo-busto dell’edizione serale Francesco Giorgino. Ognuno di loro avrà le sue ragioni, per aver fatto quello che hanno ritenuto di fare.
È altro che intriga. Da una sugosa cronaca di Carmelo Caruso su Il Foglio, si apprende che Giorgino, tra le molte cose che lo vedono impegnato, insegna all’università LUISS di Roma. È docente di “Newsmaking” e di “Content Marketing Brand Storytelling”.
Suonano bene, fanno tanto chic; ma nel concreto, per chi è al livello dell’arbasiniana casalinga di Voghera o della sora Cecioni resa immortale da Franca Valeri: che cappero insegna Giorgino?
Per quello che riguarda “Newsmaking” provvidenziale soccorre Google: «È una delle parole chiave della comunicazione di oggi. La matrice anglosassone della parola porta al significato di “costruzione di notizie”. Proprio così, perché in alcune branche del giornalismo di oggi – ma in generale, per l’appunto, nella comunicazione – le notizie non si scovano, non si sviluppano. Si costruiscono. Le producono, appunto». Perbacco…
Ora tocca a “Content Marketing Brand Storytelling”. L’aiuto viene dalla stessa LUISS, nel cui sito si legge:
«Il corso ha come obiettivo lo studio delle principali teorie e tecniche inerenti il content marketing e il native advertising, il brand storytelling. Si tratta di ambiti rispetto ai quali centrali sono le modalità di creazione, distribuzione e trasformazione dei cosiddetti branded content. L’intera traiettoria analitica si svilupperà, infatti, intrecciando le peculiarità dei processi di branding e le opportunità connesse alla valorizzazione degli elementi fondanti il corporate storytelling, soprattutto in quanto procedura e scienza narrativa. Il tutto attraverso l’analisi delle caratteristiche della rivoluzione digitale e delle forme di ibridazione in corso fra marketing, comunicazione e giornalismo (qui inteso in quanto tecnica consolidata, e processo produttivo di contenuti di informazione o di light entertainment). Agli studenti verrà data la possibilità di contestualizzare i nuovi modelli di marketing, di comunicazione e di giornalismo all’interno del paradigma della postmodernità.
Si partirà dall’esame delle caratteristiche della società postindustriale per poi approfondire le diverse relazioni comunicative dell’impresa 4.0, i modelli di Kotler, il native advertising, il digital marketing e il tragitto che porta l’utenza dalla brand awareness alla brand advocacy. Evidenziati i principali fattori di cambiamento di un marketing che si fonda ormai sulla ‘logica della comunità’ più che su quella del solo contenuto, il docente esaminerà anche alcune teorie e tecniche del Newsmaking: valori notizia, fattori notizia, criteri di notiziabilità. Le quattro fasi del Newsmaking (selezione, gerarchizzazione, trattamento, tematizzazione) saranno prese in esame, immaginandone sempre la spendibilità nel contesto del marketing conversazionale (scelta obbligata nell’era del web 2.0). Ponte concettuale fra il newsmaking e questi nuovi modelli di marketing sarà l’esame del modello del brand journalism».
Capito? Beati voi. In automatico (Giorgino naturalmente è innocente), un’amara riflessione: nelle strade delle nostre città capita di imbatterci in ogni tipo di rifiuto, ma non ci sono più i giornali, la carta stampata. Una volta servivano, si diceva, per incartare il pesce. Neppure più a questo, a quanto pare. Sugli autobus e nei vagoni dei treni i viaggiatori sono incollati non più al quotidiano, ma allo schermo di un computer; malinconiche chiudono le edicole, e le sopravvissute sono ridotte a vendere chincaglierie varie e offrire servizi di ogni tipo, e i quotidiani sono relegati nell’angolo dei collezionisti.
Sarà mica per il “Newsmaking” e il “Content Marketing Brand Storytelling”?