Aprire RSA pubbliche,
ma non è come
sottoscritto col sindacato

Oggi una manifestazione sindacale in piazza Olderico da Pordenone, davanti la sede della Regione Lazio, rappresenterà il dissenso di Cgil-Cisl-Uil per la mancata attuazione dell’accordo sottoscritto circa due anni or sono con l’assessore regionale alla Sanità D’Amato per aprire le prime 20 RSA pubbliche.

Una bozza di delibera regionale resa nota giorni or sono unanimemente è stata valutata inadeguata. Inadeguata per non aver recepito, come convenuto, tutti i punti dell’accordo dentro un percorso attuativo di programmazione esecutiva, assente nel testo.

Rsa pubbliche, Proteste davanti la Regione Lazio

Proteste davanti la Regione Lazio

Un comunicato reso noto ieri dall’assessorato regionale alla Sanità dà notizia della pubblicazione della citata delibera definita “quadro programmatico” per l’apertura delle RSA. Una forzatura che lascia intatte tutte le ragioni sindacali a sostegno di una delibera diversa che recepisca l’intesa che la Regione non ha rispettato.

Una risposta alla manifestazione odierna, quella dell’assessorato alla Sanità, che segnala scarsa volontà d’ascolto e, purtroppo, un consapevole atteggiamento, improduttivo, nelle relazioni sindacali con la rappresentanza sociale. Inattuazione significativa è stata la mancata definizione dei requisiti più qualificati che andavano individuati prima dell’apertura delle RSA pubbliche nel Lazio.

Il sindacato, a tempo debito, ha proposto un metodo di ricerca e presentato sue indicazioni. Una proposta elaborata dai dirigenti regionali è stata annunciata ma non è mai stata resa pubblica o, malgrado l’impegno preso, portata nelle sedi di confronto.

La delibera regionale per le RSA pubbliche, come resa nota, afferma, invece, che le RSA pubbliche avranno i requisiti dell’accreditamento delle vecchie RSA convenzionate. Così si è ritenuto, mentre si sono succedute dichiarazioni molto critiche, anche di decisori e politici regionali, con manifestazioni di profonda insoddisfazione per le governances delle RSA e sulla vita delle RSA.

Il che riguarda gli assetti tecnico organizzativi, strutturali, gestionali e di modello. Andrebbe letta con attenzione la mappa territoriale e degli assetti proprietari delle RSA oggi largamente in mano a multinazionali dell’assistenza privata e a gruppi privati che nel passato e recentemente hanno molto investito, a partire dalle loro convenienze, in riconversioni di posti letto ecc. In quest’area della sanità territoriale privatizzata al 100% la programmazione è stata la grande assente.

Rsa pubbliche, Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti

La Regione Lazio non ha investito nella specifica governance regionale dell’accreditamento che opera con un quarto dei suoi organici. La CGIL al momento dell’approvazione del provvedimento Azienda Sanita.0 aveva inviato, tra le osservazioni sul provvedimento, quella del potenziamento dei controlli -oggi inadeguati- da inserire fra le funzioni accentrate della Azienda Sanita.0. La proposta non è stata accolta.

Il tema dei controlli efficaci sulla struttura e sull’organizzazione delle RSA resta. Nel mentre si leggono giudizi generalizzati liquidatori delle RSA attuali si perde l’occasione di impiantare un sistema efficace di controlli. La qualificazione delle RSA pubbliche dovrebbe essere la scelta condivisa per qualificare il pubblico nella competizione con il privato e, nel caso di specie, per richiedere che sia estesa tale qualificazione a ogni altro soggetto che intenda accreditarsi come soggetto convenzionato per le RSA.

Va colta l’esigenza di una revisione delle attuali regole dell’accreditamento ma anche fatto il confronto su quanto è interconnesso alla residenzialità sanitaria e sul quadro sanitario, sociosanitario e socioassistenziale che è parte di una discussione sui servizi degli anziani. Una discussione sui singoli setting che operano con logica a silos non appare il miglior modo per contribuire a rendere diverse le RSA dentro cambiamenti della sanità già avviati.

In questa cornice di questioni aperte e di confronti non esauriti appare sensato evitare di impostare la discussione di merito a partire dall’enfasi sulla supposta alternatività fra servizi domiciliari e servizi residenziali sanitari.

Un gruppo di anziani

L’evoluzione demografica in atto, che ci evidenzia la crescita delle fasce di età di quanti fanno domanda d’ingresso in RSA, la lettura delle cause prevalenti alla base degli ingressi in RSA, ci dicono che, tra le patologie, deterioramento cognitivo e demenze sono prima e seconda causa di non autosufficienza. Oggi minori sono le persone che accedono alle RSA per una non autosufficienza fisica.

Le fasce di età molto avanzate, il tipo di patologie, la dimensione dei nuclei familiari, le condizioni economiche peggiorate delle persone, stanno determinando una più generale domanda di residenzialità in RSA che è in crescita che va conosciuta nelle sue dimensioni e per le sue caratteristiche.

Ci sono condizioni personali che consentono di essere tutelati in casa, altre dove la RSA maggiormente garantisce un mantenimento delle residue condizioni di autonomia, altre dove anche in forme di convivenza comunitaria è possibile vivere adeguatamente anche se fragili e parzialmente non autosufficienti. Più che confronti ideologici sui modelli si tratterebbe di aprire un confronto sulle diverse azioni per farle efficacemente operare, sulle necessarie flessibilità ed adattabilità all’evolversi delle condizioni delle persone che la struttura pubblica prende in carico.

Una vasta pubblicistica e svariati interventi hanno dato un giudizio sommario sulle RSA e sulla RSA in quanto tale delineando il domicilio come la soluzione per dare le risposte di un servizio sanitario pubblico da chiudere. Appare condivisibile l’idea di valorizzare una flessibilità dei modelli da progettare piuttosto che virare verso la standardizzazione che invece dovrebbe essere tenuta presente parlando di modelli di relazione e integrazione con la rete dei servizi.

Il circuito familiari caregivers e caregivers professionali e abitazione, come luogo di ogni cura dell’anziano non autosufficiente appare un percorso astrattamente caldeggiato non tenendo  conto del fatto che già oggi il 40% degli over 65 vive solo, la famiglia composta da una o due persone è prevalente, che le reti naturali di sostegno non ci sono o sono deboli, che la formazione professionale necessaria non la si può far coincidere con la dedizione dei familiari e con la buona volontà degli assistenti familiari che non abbiano superato il corso di formazione professionale regionale di 300 ore.

Anziani malati

La discussa situazione del minutaggio degli operatori dell’ADI è nota. Si tratta di un servizio che mediamente può garantire poco più di un accesso settimanale di poche decine di minuti.  Per far accedere due volte a settimana mediamente per due ore una equipe quante risorse economiche sarebbero necessarie? Gli aspetti di compatibilità economica sono parte di una discussione che voglia condurre a esiti concreti.

L’assistenza domiciliare non va vista come l’alternativa alla RSA. Non esiste peraltro una indistinta “assistenza domiciliare”, una sorta di insieme. Tale tipologia d’intervento a domicilio per essere efficace deve essere a sua volta differenziata in relazione ai bisogni delle persone.

È recente la legge regionale sull’invecchiamento attivo voluta dai sindacati. E un primo risultato positivo della consapevolezza che l’organizzazione della società tutta va ridisegnata parametrandola alla crescente anzianizzazione di esigenze e aspettative. Sugli anziani e non solo sulle RSA pubbliche è molto complicato far assumere alla Regione e al Comune di Roma il tema come questione centrale.

Scriviamo di servizi per la cronicità o per malattie correlate con l’età ma è l’intera struttura sociale che va riorganizzata intorno alla necessità della vecchiaia che va percepita come normale attività di vita e non come sommatoria di malattie e problemi.

Quando si enfatizza il dato dell’alternatività dell’assistenza domiciliare ADI rispetto alla RSA e si danno percentuali consistenti delle persone che potrebbero senza problemi essere sostenute fuori dalle RSA si dimentica che in realtà si tratta di percentuali meno consistenti.

Vi è anche un ventaglio ampio di soluzioni residenziali, di esperienze consolidate interessanti cui guardare quali ad es. le microaree a Trieste e in Toscana in cui enti locali insieme ai servizi sociali hanno operato in modo integrato.

La CGIL sulla residenzialità ha a suo tempo discusso e avanzato proposte che sono state pubblicamente dibattute e portate a conoscenza della Regione Lazio. Per rispondere alle esigenze di anziani con condizioni di maggiore complessità assistenziale la RSA (da articolare su moduli organizzati su esigenze delle persone e su piccoli numeri) appare più efficace rispetto a un sistema abitativo domiciliare che non può sostituire in termini di maggiore intensità assistenziale la RSA se non a rischio di una qualità non accettabile delle risposte.

Un anziano con il bastone

I rischi della istituzionalizzazione che esiste nel modello attuale di RSA (che guarda a quello ospedaliero e per questo va cambiato), ci sono anche, al prodursi di cause oggettive, anche se si viene curati in una famiglia.

Ormai sono molti a rilevare che Le RSA attuali hanno rilevanti limiti.  È l’impostazione più generale del SSR che oggi appare più evidente e che risiede nel fatto che lo stesso seguita ad essere orientato intorno ad un polo forte, l’ospedale. La RSA è l’altro polo che ha come modello di riferimento quello ospedaliero con le sue standardizzazioni. La sanità territoriale o meglio il “territorio” (comprensivo anche dei servizi sociali)  è complessivamente debole e deficitario.

Il sindacato ha richiamato l’esigenza di dare pienamente il suo ruolo alla sanità territoriale, rafforzando il distretto, facendo chiarezza sulla presa in carico pubblica attraverso i Pua.

La riscrittura delle regole dell’accreditamento come premessa per una ripartenza e di una programmazione della residenzialità secondo i fabbisogni verificati a livello di distretto.  La richiesta di attuare l’accordo sulle RSA dalla loro qualificazione, il partire a tal fine dalle regole dell’accreditamento non è stata colta.

Per il sindacato il rilancio del “pubblico” passa da due obiettivi: Welfare e lavoro ubblico. Incrementare il numero dei dipendenti pubblici nella sanità.  Il che vale anche in tutte le 20 RSA pubbliche: assunzioni a tempo indeterminato con le procedure pubbliche, contratti nazionali applicati a tutti.

La qualità nuova delle RSA è legata alla chiara individuazione e valorizzazione dei requisiti professionali dei componenti delle equipe che vi devono lavorare. Nelle RSA qualificate va introdotta una offerta specialistica adeguata, l’impegno professionale di figure mediche specializzate quale il geriatra e non del solo medico di famiglia. Figure professionali in grado di avere dei protocolli e obblighi più specifici sull’adeguamento terapeutico così come sull’azione preventiva e sui modelli di presa in carico della persona anziana.

Certo occorre anche operare sulla qualità delle strutture per far crescere il livello qualitativo ad esempio relativamente al rischio clinico. Una discussione che va riaperta per portare a un sistema integrato a supporto delle esigenze sia di vita indipendente che assistita degli anziani. A valle di un impegno del sindacato che è stato intenso negli ultimi anni permane prioritario valorizzare e potenziare il Servizio Sanitario Regionale, ridando centralità al pubblico.

Il dissenso sociale crescente, l’astensione crescente dal voto dovrebbe indurre i decisori pubblici a preoccuparsi ed a attivarsi per l’estensione del lavoro pubblico. Il welfare pubblico senza lavoro pubblico adeguato finisce. L’interesse generale il cui perseguimento è al centro dell’azione e dell’elaborazione del sindacato confederale è la ragione sulla quale dovrebbero collocarsi le scelte pubbliche, di chi è organizzato per attuare un interesse concreto regionale, la sanità, che è pur sempre interesse generale.

Alla Regione Lazio chiediamo un diverso provvedimento che, sia pure in ritardo, dia piena attuazione all’accordo che consentirebbe di aprire, per la prima volta nel Lazio, RSA pubbliche qualificate, assumere dipendenti pubblici, iniziando a riequilibrare il rapporto fra strutture pubbliche e private.

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Rino Giuliani – Dipartimento Welfare dello SPICGIL di Roma e del Lazio