Lo facciano gli analisti, quelli che un tempo erano i “sovietologi” esperti nel capire “dopo” quello che accadeva al Cremlino, di raccontare importanza e ruolo di Mikhail Sergeevič Gorbačëv. Da cronista di strada mi limito al “clima”, gli umori, le passioni, le euforie di un’estate irripetibile, quella dell’agosto 1991. Appunti frettolosi in sdruciti Moleskine (allora s’usava così, niente tablet o smartphone).
Gorbačëv è al potere da alcuni anni. Tra mille contraddizioni, avvia un processo di democratizzazione. Il muro di Berlino è caduto nel 1989, lui per salvare il salvabile dell’ormai ex impero URSS, promuove “perestrojka” e “glasnost”, due termini che saranno di gran moda. In sostanza “ristrutturazione” e “trasparenza”. Figlio del KGB, sa bene che il sistema è marcio alle fondamenta. Non riesce, non può, reggere il confronto con l’Occidente; e deve fare i conti con tre giganti dell’anticomunismo: un leader della “chiesa del silenzio” diventato Pontefice, Karol Wojtyla; una donna d’acciaio, Margaret Thatcher; un attore diventato politico idolatrato negli Stati Uniti, Ronald Reagan.
I nostalgici del vecchio ordine comunista tentano il tutto per tutto, in agosto il colpo di Stato: Gorbačëv è sorpreso in vacanza, nella villa presidenziale in Crimea. I russi però hanno assaporato il gusto della libertà, non intendono ritornare al vecchio, tetro regime. In tanti danno fiducia a Gorbačëv, al suo programma di riforme. Tutta Mosca scende per strada, si mobilita contro i golpisti. C’è qualche morto. Quattro ragazzi uccisi, quasi per sbaglio. L’esercito stesso, e i militari per strada, appaiono indecisi, incerti sul da farsi.
In modo avventuroso (l’ambasciata russa di Roma non sapendo che pesci pigliare, resta chiusa in attesa di capire chi vincerà), con un esperto operatore, Maurizio Cirilli, e un ancora più esperto montatore, Sandro Carabelli, si viene catapultati a Mosca per il Tg2. Non abbiamo visti, permessi, siamo dei clandestini; tali resteremo per una decina di giorni. Per strada una ragazza ci sente parlare italiano, si chiama Julia; si offre come interprete e producer: si rivela bravissima: trova tutto, conosce tutti, è instancabile, si suda tutti i dollari che le diamo per il suo preziosissimo lavoro. E un autista, si chiama Vladimir: paziente, disponibile, guida come un pazzo ma grazie a lui non siamo mai in ritardo agli appuntamenti…
Si sta a Mosca più di un mese. Si racconta la sconfitta dei golpisti. La gioia dei moscoviti, che abbattono le statue a cominciare dall’odiato Karl Marx e Vladimir Il’ič Ul’janov, passando per l’infame Feliks Ėdmundovič Dzeržinskij, il fondatore della CEKA, la polizia segreta sovietica da cui poi nasce il KGB. L’hanno issata poco lontano dalla Piazza Rossa, nel quartiere Tverskoj, proprio davanti al palazzo del KGB, dove i russi, per abitudine o ancestrale timore, ancora transitavano in fretta e col capo chino. Cirill costringe i russi ubriachi di gioia e di vodka, a formare un cerchio che impedisca l’accesso agli altri operatori in modo da avere le immagini in esclusiva, e mentre la statua crolla gli fa gridare: «Forza Roma forza lupi»… E lo fanno.
Si racconta l’affermarsi definitivo di un personaggio pittoresco e demagogico, Borís Nikoláevič Él’cin, che tuttavia nonostante tutto trova risorse e coraggio per opporsi ai golpisti, diventa l’emblema di una Russia che non vuole tornare al suo tragico passato. Si racconta dei suoi oceanici comizi in quel palazzone che tutti chiamano “Casa Bianca”, e di come umilia Gorbačëv imponendogli la lettura di un documento che non approva e vorrebbe respingere, e infine balbetta mentre il nuovo capo con gesto alla Brenno par gli dica: «Guai al vinto!». Si racconta di un ex colonnello Oleg Danilovič Kalugin che denuncia i crimini e i misfatti del KGB, e poi finisce consulente della CIA; di un febbrile giovanile Evgenij Aleksandrovič Evtušenko che declama i suoi versi nella piazza Rossa con lo stesso fervore con cui ha narrato, nel settembre 1961, in Babi Yar il massacro degli ebrei di Kiev ad opera dei nazisti…
Si racconta come Gorbačëv incontra un giorno la marea di giornalisti stranieri: «Non vi posso ringraziare tutti», esordisce. «Ringrazio per tutti il vostro presidente Demetrio Volcic…». Solo che Demetrio non è presidente di nulla, lo “nomina” Gorbačëv sul momento, per manifestare la stima e la considerazione che nutre per lui.
Servizi su servizi, quella “rivoluzione” contagia anche noi; chi può immaginare come poi sarebbe finita, prima con Él’cin, corrotto, ubriacone, ma capace di fare la cosa giusta al giusto momento; poi con Vladimir Vladimirovič Putin, anche lui figlio del KGB, ma di una diversa madre da quella che ha generato Gorbačëv… Ancora un’illusione, una delusione, insomma.
Ma in quei giorni s’era lì, a respirare quell’incredibile e irripetibile atmosfera, cercare di raccontarla, anche se un conto è “vivere” sul campo le situazioni, altro descriverle. A onore del vero, e del direttore di allora Alberto La Volpe, un po’ di buon giornalismo si riuscì a farlo: nessuna pressione da Roma, dalla direzione e dalla politica. I “servizi” belli o brutti che siano stati, erano i “nostri”, messi in onda come inviati. Sì, era una buona squadra. Due sono morti. Vladimir è poi emigrato in Canada. Di Julia da tempo non so nulla.