Con una crisi all’orizzonte, Christine Lagarde, presidente della Bce, adesso preferisce non sbilanciarsi sul futuro andamento dei tassi. E se i falchi, come il governatore della Banca centrale olandese Klaas Knot, hanno già chiesto un altro aumento del costo del denaro a maggio «per combattere l’inflazione», lei adesso si limita a dire che ogni decisione verrà presa «soltanto sulla base dei dati» economici. Punto.
Insomma, la numero uno della Banca centrale europea ha scelto un atteggiamento prudente, anche per la valanga di critiche piovutele addosso in seguito all’ultimo aumento del costo del denaro (22 marzo) che ha visto salire al 3,5% il tasso d’interesse in presenza di una congiuntura economica sfavorevole e di un sistema bancario più fragile del previsto. Decisione che comunque, a metà marzo, la stessa Lagarde aveva annunciato con parole tutt’altro che prudenti.
Sembra quindi evidente che le recentissime crisi bancarie americane e svizzere adesso arrivate nel cuore dell’Ue (vedi le difficoltà del colosso tedesco Deutsche Bank) stanno portando a un cambio di vento anche ai piani alti della Bce. Il che, al prossimo Consiglio di maggio, potrebbe tradursi in una frenata dell’aumento dei tassi.
D’altra parte l’erosione dei salari e il conseguente calo della domanda di beni e servizi lascia prevedere un graduale calo dell’inflazione. E con questo cadrebbe anche la spiegazione con cui la Bce finora ha presentato la crescita del tasso d’interesse. Anche perché decine di rilevazioni e analisi sull’effetto degli ultimi otto mesi (giugno-marzo) che hanno visto i tassi di riferimento della Bce salire di 350 punti base non hanno registrato i benefici attesi. Anzi. Per fare un solo esempio,
secondo uno studio presentato in Finlandia, all’ultimo consiglio dei governatori delle banche centrali europee, gli aumenti del costo del denaro decisi da Francoforte non stanno ottenendo gli “effetti sperati”. Anzi. E così – per fare un solo esempio – si è scoperto che l’inflazione sta «favorendo i margini di guadagno delle imprese».
D’altra parte, come ha spiegato in una recente intervista a Repubblica il premio Nobel dell’Economia Joseph Stiglitz, «La Bce in un certo senso era obbligata ad aumentare i tassi per ridurre il divario con l’America e quindi contenere i rialzi del dollaro, che sono stati fin troppi».
Chiarito questo, l’economista americano è tornato all’attacco della linea intrapresa prima dalla Fed e poi dalla Bce: «Non mi stancherò di ripeterlo: i rialzi dei tassi sono la via più sbagliata per combattere l’inflazione. Sono solo la strada più diretta e sicura per la recessione…».