D’accordo: il ministro Carlo Nordio gli sfiora il piede con le pur timide e più che ragionevoli riforme sulla giustizia e il modo di amministrarla, e quelli là, quei signori con indosso la toga si mettono a strillare come aquile impazzite, gridano alla lesa maestà e al fascismo incombente. Come in passato reagiscono come sanno; come possono.
D’accordo anche che, come vorrebbe la regola di un paese “normale” l’accusato è innocente fino a quando una corte di giustizia non ne stabilisce la colpevolezza; qui da noi quando si vuole essere gentili e comprensivi con un imputato gli si augura di riuscire a dimostrare la propria innocenza; il bello (cioè il pessimo) è che lo si dice con perfetta e tranquilla coscienza, senso che in ognuno di noi si è instillato il micidiale virus del giustizialismo: «Se gli è capitato quello che gli capita, è quasi certo che qualcosa ha combinato, speriamo che se la cavi». Nessuno che dica: «Vediamo se la procura e il procuratore riescono a provare il loro teorema accusatorio». Inquietante capovolgimento e stravolgimento di quello stato di diritto che giorno dopo giorno si smarrisce.
È una regola/garanzia, quella della presunzione di innocenza fino a prova del contrario che vale per tutti, non solo per gli “amici” o i “sodali”. Vale dunque per Daniela Santanchè, le sue presunte e ancorché probabili speculazioni e impicci finanziari; vale per Leonardo Apache La Russa accusato di violenza sessuale. Ma accertare e stabilire fondatezza di accuse, responsabilità penali, reati commessi, è compito di investigatori, magistrati, giudici, corti di giustizia.
Chi non appartiene a queste fattispecie, e non è neppure avvocato difensore dell’avvocato, ma semplice osservatore ha “solo” il compito di cercare di capire se le regole del diritto sono rispettate, come si applica e amministra la legge. Trattandosi poi di personaggi pubblici, con incarichi istituzionali rilevanti valutare la congruità e la correttezza sotto il profilo dell’etica dei vari comportamenti. Si badi: etica; non morale, quest’ultima certamente discutibile e opinabile.
Etica è quella che i padri costituenti nella loro saggezza hanno scolpito in modo inequivocabile nell’articolo 54 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». Le parole chiave di questo articolo sono: “Dovere”, “disciplina”, “onore”.
Si potrebbe obiettare che a voler applicare con acribia questo articolo assemblee istituzionali nazionali e locali e altri simili organi rischiano di essere praticamente deserti. Non è questo un buon motivo per assistere inerti e indifferenti allo scempio di decenza e di decoro in corso. Anzi, è motivo per opporre resistenza.
I casi concreti, ora. Chi scrive è impegnato in una quotidiana lotta di smaltimento e “liberazione” di vecchie carte inutili, polverose e ingiallite. I giornali giusto un mese fa riportavano un’energica affermazione del presidente del Senato Ignazio La Russa, a commento di un caso di violenza nei confronti di una donna: «Se vedi tuo figlio che manca di rispetto a una ragazza tiragli un ceffone, ma tiraglielo forte».
Le coincidenze. Come ci ricorda Leonardo Sciascia, ben ammaestrato da Borges e da Savinio, le coincidenze sono le cose in cui si deve credere…
L’accusa che pende sul capo di Leonardo Apache ancorché odiosa, è – allo stato dei fatti – “solo” un’accusa. Il padre, che è anche senatore, che è stato anche ministro, che è presidente del Senato, che fa? Urbi et orbi fa sapere di «aver a lungo interrogato» il figlio; alla fine ne ricava «la certezza» che «non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante». Ha ovviamente fiducia nella procura, che saprà fare chiarezza con «la maggiore celerità possibile». Nei confronti del figlio «una forte reprimenda…per aver portato in casa nostra una ragazza con cui non aveva un rapporto consolidato…Non mi sento di muovergli alcun altro rimprovero». In quanto alla ragazza, chissà: «Per sua stessa ammissione, aveva consumato cocaina prima di incontrare mio figlio. Un episodio di cui Leonardo non era a conoscenza. Una sostanza che lo stesso Leonardo sono certo non ha mai consumato in vita sua».
Poi il presidente La Russa sostiene di essere stato «frainteso». Si è sempre fraintesi. Si comprende sempre male quello che si dice, si vuole dire. È una regola fissa di certa classe cosiddetta politica. Un quasi assioma come «a mia insaputa». Nello specifico caso: babbo La Russa sottopone a lungo interrogatorio, alla fine ne acquisisce la certezza che non ha compiuto gesto penale rilevante. Cosa c’è che s’è frainteso? Lo ha fortemente rimproverato perché non si porta in casa una ragazza con cui non si ha un rapporto consolidato (per “consolidare” prima la si porterà in casa di un amico, o in albergo, o dove? E quante volte?); comunque questo è il solo rimprovero che il figliolo merita. Cosa c’è che s’è frainteso? La ragazza ha fatto uso di cocaina, e dunque chissà… Cosa c’è che s’è frainteso? Il figliolo lui sicuramente non ha mai fatto uso di simili sostanze. La certezza evidentemente la si sarà acquisita nel corso del lungo interrogatorio, o forse anche prima. Cosa c’è che s’è frainteso?
Una cosa, questa sì, non si fraintende: il comportamento del presidente del Senato La Russa non è quello che ci si attende da chi esercita la funzione di presidente del Senato.
Il “parallelo” (per quel che riguarda la tempistica) “affaire” Santanchè. Il caso di questo ministro è semplicemente (al di là dei possibili risvolti penali) un indecoroso comportamento, per questo meritevole di quella censura che comporta, in un paese normale l’allontanamento dal Governo di cui si è stati chiamati a far parte. Ma il problema è di Giorgia Meloni: dovrebbe rispondere alla semplicissima domanda: non lo sapeva chi si metteva “in casa”? Se no, è grave; se sì, di più. E ancora: Meloni per prima dovrebbe rendersi conto che la cosa da fare è convocare Santanchè e congedarla. Non lo fa, ed è grave. Non lo può fare? Più grave ancora.
Lo stesso discorso vale per il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, per le sue volgari e offensive affermazioni nel corso di una sua esibizione al Maxxi di Roma; è curioso che quasi lo si assolva dicendo: Sgarbi è Sgarbi. Appunto. Perché essendo Sgarbi Sgarbi lo si è nominato, perché non lo si rimuove? Non è questione di garantismo o di libertà d’espressione. È questione di decoro istituzionale. Tutti costoro ne sono privi. Loro e chi li protegge e sostiene.
Alla fine: come si diceva un tempo per Richard Nixon: «Would You buy a used car from this man?», «Compreresti un’automobile usata da quest’uomo?».
La compreresti da La Russa? Da Santanchè? Da Andrea Delmastro? Da Giovanni Donzelli? Da Vittorio Sgarbi? Da Lollobrigida? Da Francesco Lollobrigida? That’s all folks. Meloni ancora qualche giorno fa sostiene che «il popolo è con me». Ennesima e clamorosa mistificazione.
Sono dieci e passa anni che ormai, la maggioranza degli aventi diritto al voto non è proprio con nessuno, anzi: è contro tutti. L’automobile usata non la compera dal destra-centro, ma neppure dall’opposizione incarnata oggi da Elly Schlein e Giuseppe Conte. Oltre il 50 per cento degli aventi diritto di voto rinuncia a esprimersi, diserta le urne. Non solo: nessuno più comunica a quanto ammontino le schede nulle o bianche. È questo il vero, maggioritario partito italiano, che non ha rappresentanza e scientemente, consapevolmente decide di non farsi rappresentare, ogni volta invia un gigantesco, silenziato e ignorato “vaffa”.
Perché per l’opposizione, che dovrebbe essere garanzia e “cane da guardia” nei confronti dei Poteri, vale il ritornello di “don Rafé” di Fabrizio De André: «…Si costerna, s’indigna, s’impegna. Poi getta la spugna con gran dignità». (Con una postilla: la gran dignità non c’è).
A proposito di dignità, dovere, onore, disciplina smarriti, episodi gravi a cui non si presta tuttavia attenzione.
Chi ha la pazienza di ascoltare gli integrali delle sedute parlamentari trasmesse da Radio Radicale in queste ultime settimane si è imbattuto nello spettacolo letteralmente indecente di sedute convocate e repentinamente sconvocate. Nei banchi del Governo c’è il più completo vuoto, da palazzo Chigi non viene mandato neppure il più oscuro sotto-segretario per cui il presidente di turno è costretto a sciogliere l’assemblea.
Il tutto accade nella “normalità” più assoluta. Il presidente della Camera valuta “normale” l’assenza del Governo e non chiede spiegazione. Il Governo ritiene “normale” disertare il confronto con il Parlamentare, arrecare questo formale e sostanziale oltraggio all’istituzione; dai banchi dei parlamentari maggioranza o opposizione non si leva un sospiro per questa avvilente situazione. I cronisti parlamentari non rilevano la gravità della situazione, non rendono consapevoli e coscienti i loro lettori…
Ecco, l’infezione ha raggiunto questi livelli. Si è inoculato, questo virus in modo profondo; una quantità di topi morti, come ne La peste di Albert Camus annunciano il diffondersi dell’epidemia; come il manzoniano don Ferrante, le vittime stesse del morbo, lo negano. La Russa, Santanché e tutti gli altri, sono sintomi vistosi, ma la causa è più profonda, il male più grave, la metastasi più diffusa. Non sono stupito che il 50 per cento e passa di italiani non vada a votare. Mi stupisco che ci sia un 50 per cento che ancora lo fa.