Cinque giorni di guerriglia urbana con un miliardo di danni. Messo di fronte alla rivolta delle banlieue, scatenata il 27 giugno dalla morte di un 17enne figlio di immigrati ucciso da un poliziotto, il presidente francese Emmanuel Macron non dà l’idea di avere il controllo della situazione.
Le sanzioni finanziarie ai genitori dei casseurs e i limiti all’uso dei social media per i giovani rivoltosi, cioè le proposte su cui sta lavorando il governo per arginare le guerriglie urbane, appaiono difficili da applicare e, secondo molti commentatori, assimilano la Francia a uno Stato autoritario invece che a una moderna democrazia.
D’altra parte, Macron, più che a un presidente della Repubblica assomiglia a un re senza corona. E come tale si comporta fin dal primo giorno in cui è entrato all’Eliseo, dove vive asserragliato, governando distinto e distante dal suo Paese. Circondato da un ristretto gruppo di fidati consiglieri, ignari come lui dei grandi problemi che assillano la gente comune. Da qui le violente manifestazioni di piazza contro Macron e molte scelte di politica interna fatte dal governo. Da qui gli episodi di guerriglia urbana con cui tanti francesi sempre più spesso paralizzano Parigi e le principali città del Paese.
Un passato da banchiere di successo, esponente di una élite tecnocratica lontana anni luce dai politici di professione, Macron ha approfittato della crisi dei partiti tradizionali per creare dal nulla un suo movimento personale (En Marche) con cui ha dato la scalata al potere. Così alla fine è entrato all’Eliseo da grande coprotagonista dell’implosione di un sistema politico nato sulle ceneri del nazifascismo che ha fondato l’Europa attuale.
Naturalmente Macron ha colto al volo la crisi di questo sistema. Lo ha fatto con un velocissimo contropiede, quando, partendo da un importante incarico ministeriale nel governo del socialista Hollande ha creato un movimento politico autonomo. Un partito personale senza radici, nato ad aprile 2016, che non doveva essere «né di destra, né di sinistra».
Il risultato è che adesso, appena sette anni dopo, l’inquilino dell’Eliseo è alle prese con la rivolta delle periferie, una guerriglia urbana che non sa come affrontare. Perché “En marche”, movimento nato dal nulla e tuttora senza un vero radicamento sociale, adesso paga a caro prezzo la scomparsa del Partito socialista francese e dei Repubblicani. I vecchi partiti che, avendo radici nella società francese, si sono alternati al governo per tanti anni. E se a un certo punto quel sistema è imploso, lo si deve certamente agli errori dei partiti tradizionali ma anche e soprattutto alla grande ambizione di un tecnocrate di talento come Macron, che, appoggiato dal grande potere economico-finanziario, ha dato la spallata finale.
Non deve quindi meravigliare se il caso del presidente francese adesso spaventa mezza Europa. Perché se è vero che il macronismo rappresenta un caso a sé, è altrettanto vero che simboleggia il fallimento della politica liquida, quella politica che, senza la mediazione dei vecchi partiti e dei politici, non riesce più a intercettare i bisogni degli elettori.
Diventato il simbolo più vistoso delle conseguenze delle scelte di partiti personali nati dal nulla e incapaci di affrontare e risolvere problemi reali, Macron, con il suo fallimento, adesso spaventa mezza Europa. Perché anche in Paesi come la Germania, dove il vecchio sistema politico regge ancora, i partiti tradizionali sono sempre più deboli e la politica liquida avanza, questa volta con gli slogan e sotto le bandiere della destra sovranista. Che in Italia è già arrivata al governo e in Spagna si prepara a farlo con le elezioni anticipate del 23 luglio prossimo.