Dopo due mesi senza progressi sul campo di battaglia, la controffensiva ucraina sembra ormai destinata al fallimento. Secondo le previsioni di “fonti informate” dell’Intelligence Usa, appena rese pubbliche dal Washington Post, le truppe di Kiev non riusciranno nemmeno a tagliare il collegamento via terra che consente alle truppe russe di entrare in Crimea.
Ma senza l’obiettivo chiave della controffensiva, annunciata a suo tempo con grande clamore mediatico dal governo di Kiev, la fine della guerra si allontana. Infatti senza la “riconquista” dei territori occupati dalle truppe di Putin, come sempre ribadito dal presidente Zelensky, per il governo di Kiev non ci sono le condizioni per aprire un tavolo negoziale con Mosca. Nemmeno per un “cessate il fuoco” di pochi giorni.
Stando così le cose, la “controffensiva” è quindi presto diventata, almeno ufficialmente, la sola chiave per aprire le porte a qualsiasi negoziato. Posizione ribadita costantemente da Zelensky e dai suoi alleati occidentali, Stati Uniti in testa. Con allegata “narrativa” sull’unità e sul grande coraggio del popolo ucraino che, grazie al massiccio arrivo di nuove armi dagli Usa e dall’Ue, avrebbe avviato la battaglia per invertire il corso della guerra e costringere l’invasore russo al ritiro.
Da qui la campagna mediatica di un grande comunicatore, non a caso ex attore, come Zelensky. Trasformatosi rapidamente in leader simbolo della resistenza democratica dell’Ucraina, nell’emblema planetario del politicamente corretto. Al punto da potersi permettere di mandare a quel paese l’inviato del papa, ricevuto solo per cortesia, ma subito dopo accusato pubblicamente di aver osato chiedergli una trattativa con Putin.
Né Zelensky si è mai tirato indietro quando si è trattato di accusare chi gli chiedeva di mostrarsi un poco più conciliante. Anzi, è arrivato al punto da tirare pubblicamente le orecchie a quei capi di governo che in Occidente mostravano qualche esitazione nell’invio di nuove armi e aiuti militari a Kiev.
Solo che adesso, secondo l’analisi dell’Intelligence di Washington, nemmeno l’arrivo dei Leopard tedeschi e il prossimo invio di F-16 (attraverso la Danimarca e i Paesi Bassi) riuscirà ad evitare il “flop” della controffensiva. Infatti le difficoltà registrate in questi due mesi avrebbero messo in mostra tutti i limiti e gli errori “sul campo” delle truppe di Kiev.
A dare la mazzata finale all’esercito ucraino ha poi provveduto, alla vigilia di Ferragosto, lo stesso Zelensky. Con la destituzione di tutti i capi dei “dipartimenti regionali di reclutamento militare”. Secondo un’indagine dell’Agenzia anticorruzione avrebbero messo in piedi un vero e proprio sistema fraudolento. Con tanto di tariffario per consegnare false attestazioni di inidoneità. Un modo per evitare la guerra a centinaia di giovani in età di reclutamento obbligatorio.
E così adesso, caduto il velo mediatico creato da Kiev e dai suoi grandi alleati occidentali, la realtà di 18 mesi di guerra appare in tutta la sua crudezza. L’Ucraina è un paese semidistrutto dai bombardamenti e dagli attacchi russi. E il popolo ucraino, dopo aver subito lutti, privazioni e sofferenze d’ogni genere, è ormai esausto. Quindi desidera una sola cosa: la fine dei massacri e la fine della guerra.