Una rete fitta di vie consolari in Italia e in tutto l’Impero. Era questo lo strumento della supremazia di Roma. Prima la Repubblica e poi l’Impero Romano curarono con grande attenzione la costruzione delle opere pubbliche. Le strade, gli acquedotti, i ponti, le terme, i templi, gli anfiteatri, i circhi per le corse delle bighe, i teatri, le palestre, le biblioteche furono alla base della potenza e dell’egemonia dell’Urbe. Maria Luisa Berti racconta come, quando e perché furono costruite le vie consolari. Oggi 29 ottobre pubblichiamo il primo articolo.
I Romani furono abili costruttori come testimoniano le loro città, le maestose ville, i ponti, gli acquedotti, le cloache, i sepolcri e il loro sistema viario con cui coprirono i territori conquistati e che permise loro di controllarli, ma anche di favorire il commercio e lo scambio di culture.
Furono costruite innanzitutto per favorire la mobilità dell’esercito e il legionario era anche un ingegnere o un architetto o uno scalpellino o un manovale. Ai militari, infatti, sotto la guida di un console, era affidata la loro costruzione e a loro era concessa la colonizzazione del territorio.
Le vie consolari erano le più grandiose: lastricate e larghe circa 5 metri permettevano il passaggio di due carri. Venivano tracciate al centro delle terre conquistate ed erano collegate tra loro dalle vie rusticae, spesso in terra battuta.
I Romani impararono a costruire strade dagli Etruschi, ma le loro vie risultarono più durature perché usavano la selce invece del tufo, meno resistente. Molte delle loro vie ricalcavano quelle etrusche, come la Via Flaminia attraverso l’ager veientanus e faliscus.
Le strade romane procedevano diritte anche lungo forti pendenze, perciò si doveva tener conto del terreno e, quando necessario, innalzare ponti o viadotti, come quello di Ariccia, tuttora in uso, o scavare gallerie, come quella del Furlo sulla Via Flaminia, o prosciugare paludi.
Per superare un semplice ruscello, bastava un ponticello di assi di legno ma per attraversare un fiume occorreva un ponte che poteva essere di legno o di pietra. Nel primo caso esso era sostenuto da piloni infissi sul letto del fiume oppure su un basamento di pietra. Per i ponti di pietra si usava una tecnica appresa dagli Etruschi. Dopo aver deviato il corso del fiume tramite chiuse e canali, si scavava per porre le fondamenta dei pilastri, su cui veniva collocata una struttura in legno; sopra questa venivano poste le pietre con al centro il cuneo. Questo era la chiave di volta che permetteva di scaricare il peso verticalmente sui montanti e di sopportare pesanti carichi.
Nei terreni paludosi si costruivano strade rialzate fino a 2 metri e sorrette da piloni di legno, tra cui si ponevano pietre e massi. Fuori dall’Italia, nelle province, si usavano ponti fatti con tronchi d’albero, i pontes longi.
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