Se ama il cinema il senatore del Partito Democratico Walter Verini ricorderà una delle battute finali di “Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo”: quando, rivolto al figlio dice che il nonno da qualche parte “se la starà ridendo”. Così Giovanni Falcone, se mai avrà avuto la possibilità di leggere la lunga intervista che Verini ha rilasciato a Daniela Preziosi per Il Domani, quotidiano a torto o a ragione coinvolto in questo affaire del dossieraggio, vero o presunto, di cui si parla e si scrive da giorni.
Chiede, a un certo punto, Preziosi: Maurizio Gasparri ha anche usato il caso per chiedere il commissariamento della Direzione antimafia. È nel novero delle cose possibili?
Risponde Verini: «Gasparri usa spesso le parole come un manganello. In commissione ho chiesto al procuratore Cantone cosa pensa di questa proposta. L’ha definita una boutade. Ma, dico, indebolire in questo momento un presidio di contrasto alle mafie come la DNA è irresponsabile. E non solo perché nacque dall’impulso di Giovanni Falcone, ma perché oggi la Procura nazionale antimafia, come ci dicono tutti quelli che si occupano di questi fenomeni è insostituibile nel contrasto alla criminalità organizzata. E viene presa a modello da altri paesi europei. Questa parte della destra rischia di delegittimarla. Si assume una gravissima responsabilità».
Per sgomberare il campo da possibili equivoci: ogni sillaba del senatore Verini contenuta nella frase citata, la si sottoscrive e condivide. Però conviene anche fare un’operazione di memoria. Verini è classe 1956, ha varcato la soglia del Parlamento nel 2008. Dunque, a livello personale non è responsabile di nulla, in relazione a quanto si racconterà tra qualche riga. Però milita in un partito che ha fatto clamorosi errori, qualche parola di scusa a Falcone la deve ancora dire; per questo immagino che da qualche parte se la rida.
Un collega di Falcone, Francesco Nitto Palma, intervistato il 1 giugno 1992 dal Corriere della Sera, dice: «Adesso fanno tutti gli amici…Quelli del PDS, per esempio, lo definivano il magistrato più bravo del mondo. Ma quando si candidò alla Superprocura dicevano che non poteva occupare quell’incarico in virtù della sua dipendenza dal potere politico. Non gli perdonavano di aver inventato la Direzione investigativa antimafia e la Direzione nazionale antimafia…». Lo strumento, parole di Verini, «insostituibile nel contrasto alla criminalità organizzata. E viene presa a modello da altri paesi europei».
Quella Procura nazionale antimafia che, quando Falcone la propone viene giudicata nel migliore dei casi come una sorta di cavallo di Troia della classe politica per controllare, legare le mani dei magistrati.
Falcone da pochi minuti è caduto vittima del tritolo esploso all’altezza di Capaci, ed è un coro: «Ucciso l’eroe nella lotta contro la mafia…il punto di riferimento per quanti non vogliono rassegnarsi a subire il potere della mafia». Giudizio unanime nel definire Falcone uno dei perni principali della difesa dello Stato democratico, colui che meglio di chiunque altro avrebbe potuto essere l’animatore di quella superprocura di cui lo stesso Falcone era stato il principale artefice…
Già. Ma se Falcone era “il migliore di tutti”, quello a misura del quale la figura del procuratore nazionale antimafia era stata “tagliata e cucita”, per quale ragione misteriosa e arcana la commissione direttivi e larga parte del Consiglio Superiore della Magistratura gli hanno preferito altro candidato, giungendo a scegliere Agostino Cordova, per inciso tra i firmatari di un documento sottoscritto da decine di magistrati, nel quale la Procura nazionale antimafia veniva definitiva un pericolo da scongiurare alla loro indipendenza e autonomia?
Indimenticabile l’articolo del 12 marzo 1992 su l’Unità, firmato da Alessandro Pizzorusso, componente designato dal PDS al CSM, intitolato: «Falcone superprocuratore? Non può farlo, vi dico perché». Pizzorusso definisce Falcone «un collaboratore eminente del ministro (della Giustizia Claudio Martelli, ndr), e che delle tesi del ministro si fa propugnatore con articoli, libri, interviste, che occupano ampi spazi nei programmi televisivi e radiofonici, nei giornali e nei periodici di ogni tipo… votare a favore di Falcone…è come dire votare a favore del ministro Martelli, protagonista degli attacchi al CSM e alla magistratura». Insomma: Falcone non solo contiguo al potere politico, ma addirittura strumento in mano a quel partito (il PSI, ndr) che avrebbe voluto la subordinazione della magistratura al potere politico, ai partiti, per coprirne le malefatte.
Per inciso: l’Unità di quei giorni è diretta da Renzo Foa e direttore vicario è Piero Sansonetti. Ulteriore inciso: Gerardo Chiaromonte che della commissione Antimafia è stato presidente, quando vede l’articolo sul suo giornale, si mette letteralmente le mani nei capelli sconsolato e avvilito.
Ricordi di vecchio cronista. Verini ha ragione, ripeto, e quello che dice è condivisibile non una ma cento, mille volte. Però è doveroso ricordare. È doveroso ammettere gli errori e le miopie, chiedere scusa. Si guardi pure lo stecchino nell’occhio altrui, ma anche il tronco nel nostro.