Romolo, dopo aver fondato Roma, contatta i popoli vicini per stringere alleanze e ottenere delle donne con cui popolare la nuova città. I vicini non intendono rinunciare alle loro donne per cui Romolo ricorre all’inganno. Organizza un grande spettacolo per attirare gli abitanti della regione e rapire le loro donne. Il Ratto delle Sabine è una delle più antiche vicende della storia di Roma: leggenda o realtà?
“Romolo” racconta Tito Livio (Ab Urbe condita libri1,9) «…organizza appositamente dei giochi solenni in onore di Nettuno equestre; li chiama Consualia. Ordina poi che lo spettacolo sia notificato ai confinanti. E lo celebrano con tutta la solennità che allora conoscevano o potevano realizzare, per rendere la cosa ben nota ed attesa. Arrivarono molte persone, anche per il desiderio di vedere la nuova città, in particolare tutti i più vicini, Ceninensi, Crustumini, Antemnati; infine venne tutta la moltitudine dei Sabini con figli e mogli… Quando giunse il momento dello spettacolo e le menti con gli sguardi erano concentrati su di esso, allora, secondo un piano prestabilito ebbe inizio l’aggressione e, ad un segnale convenuto, la gioventù romana corse qua e là a rapire le ragazze…».
Il rapimento causò una serie di guerre con i popoli che avevano subito il danno e i Sabini furono gli ultimi a cedere. Come raccontano Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, presero il Campidoglio, grazie al tradimento di Tarpea, e ingaggiarono una dura battaglia con i Romani. Fu allora che le donne sabine rapite si lanciarono tra i combattenti per dividerli. «Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall’altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli… e si rivolgevano con dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel mezzo». (Plutarco, Vite parallele, Vita di Romolo).
Gli abitanti della Sabina erano detti Curiti da Cures, la loro capitale, che occupava l’intero colle a sud di Fara, circondato dai due torrenti che confluivano nel Tevere. Essi si fusero con i Latini e il loro re, Tito Tazio, governò insieme a Romolo. Da allora il termine Quiriti indicava i Romani che godevano del diritto di cittadinanza.
Tito Livio e Dionigi d’Alicarnasso vissero ai tempi di Augusto (quasi sette secoli dopo la fondazione di Roma) e Plutarco quasi un secolo dopo di loro, per cui i loro racconti si basavano molto sulla tradizione orale e sugli scritti più antichi, come gli Annales, e sul poema epico di Tito Ennio. Questi scrittori nei loro libri intendevano legittimare la grandezza di Roma e, basandosi soprattutto sulla tradizione orale, i miti finirono per prevalere sulla storia.
La leggenda del rapimento può derivare da un rituale di matrimonio in cui si rapiva la sposa, rituale presente in altre culture, ma l’unione tra i due popoli pare sia avvenuta in modo pacifico perché i Sabini vedevano una vita migliore nella città appena sorta.
Questa leggenda ispirò vari artisti tra cui Jean de Boulogne, detto il Giambologna, nel Cinquecento, e Jacques-Louis David verso la fine del Settecento.
Il momento del rapimento è stato immortalato dal Giambologna in una statua esposta nella Loggia dei Lanzi di Firenze, alta 4,10 metri. Scolpito nel marmo, un giovane solleva sopra la testa una fanciulla, mentre un vecchio, disperato, cerca di bloccargli le gambe. Il movimento verso l’alto di questa scultura è ammirevole. Il Giambologna ricavò la statua da un unico blocco di marmo in un percorso a spirale osservabile da più angolazioni. La statua è conosciuta anche come le tre età dell’uomo.
Jean-Louis David, invece, nel suo quadro descrive il momento della battaglia in cui le donne sabine con i loro piccoli cercano di far cessare gli scontri. Al centro del dipinto sta Romolo con il grande scudo, l’elmo e la lancia e di fronte a lui, a braccia aperte, pare fermarlo Ersilia, la giovane che poi diventerà sua moglie.
Anche il cinema ha voluto rappresentare questa vicenda. Nel 1910 uscì un cortometraggio in una bobina per la regia di Ugo Falena, dal titolo Il Ratto delle Sabine. Fu riprodotto anche in Inghilterra, in Germania, in Olanda e in Belgio.
Nel 1945 uscì Il ratto delle Sabine, diretto da Mario Bonnard, riedito nel 1950 col titolo Il professor Trombone. Aristide Tromboni, interpretato da Totò, con la sua compagnia teatrale vorrebbe allestire la vicenda delle Sabine ma la recita si rivela un fiasco enorme mentre, alla proiezione del film, il pubblico si divertì moltissimo.
Infatti su Il Giornale del Mattino del 5 dicembre 1945 si leggeva: «Un film con Totò rappresenta sempre una garanzia per un’ora di buonumore. E infatti ieri il pubblico ha riso dal principio alla fine nel vedere riprodotta sullo schermo una commedia tanto cara ad Angelo Musco. Non mancano le trovate, non mancano gli atteggiamenti propri del comico che riscuote tante e così vive simpatie…».
Nel 1961 uscì Il ratto delle Sabine diretto da Richard Pottier, in cui compaiono attori diventati famosi come Roger Moore (Romolo), Mylène Demongeot, Folco Lulli, Rosanna Schiaffino.