Giacomo Matteotti è morto «per mano fascista». Ancora c’è chi ha paura di questa verità storica. C’è chi sbanda nell’attribuire al fascismo l’omicidio del deputato socialista, segretario del Partito socialista unitario.
Matteotti non è un nome qualsiasi nella storia dell’Italia democratica, paga con la vita per il suo coraggio di opporsi a Benito Mussolini. Il Duce non ama Matteotti. Non lo ama già quando tutti e due sono nel Psi su fronti contrapposti: Matteotti socialista riformista e lui massimalista rivoluzionario. Non lo ama soprattutto quando conquista il potere come capo del fascismo con la Marcia su Roma nel 1922 e Matteotti resta socialista e un suo fiero oppositore.
Matteotti il 10 giugno 1924, giusto cento anni fa, è rapito e ucciso a Roma da una squadraccia fascista. È aggredito e caricato a forza su un’auto verso le 16, a Lungotevere Arnaldo da Brescia. È sequestrato mentre cammina a piedi, a poche decine di metri dalla sua casa in via Giuseppe Pisanelli numero 40 dalla quale è appena uscito. Il comune di Roma e la Fondazione Matteotti volevano e vogliono apporre sul palazzo una targa ma non è stato possibile. La maggioranza dei condomini del palazzo boccia la proposta per la grandezza e i contenuti della targa. La motivazione del no è incredibile: la targa è «troppo impattante». La scritta proposta è di una semplicità estrema: qui ha abitato Giacomo Matteotti «fino al giorno della morte per mano fascista». Così la targa non viene apposta, almeno per ora, in via Giuseppe Pisanelli. Ironia della sorte Giuseppe Pisanelli è il nome di un patriota del Risorgimento, un oppositore dei Borbone a Napoli in nome delle libertà, poi ministro di Grazia e Giustizia del Regno d’Italia.
Quel delitto «per mano fascista» spaventa ancora. Matteotti il 30 maggio 1924 ha il coraggio e l’ardire di chiedere l’annullamento delle elezioni politiche. L’elezione «non è valida», accusa formalmente alla Camera tra le urla, perché il fascismo ha falsato il risultato con brogli, violenze, intimidazioni. Il deputato è consapevole di rischiare la vita. Ai compagni socialisti dice: «Io il mio discorso l’ho terminato, ora preparate il discorso funebre per me». Il 10 giugno, pochi giorni dopo, è rapito e assassinato a coltellate.
Il delitto scuote l’Italia. Provoca cortei e manifestazioni di protesta. Trema l’ancora fragile impalcatura della dittatura. Benito Mussolini teme di essere travolto: promette all’opinione pubblica di cercare e punire i colpevoli dell’omicidio. Le opposizioni antifasciste però non riescono a raccogliere lo sdegno popolare, non riescono a unificare le forze per abbattere la nascente dittatura nera.
Così Mussolini, in pochi mesi, riprende coraggio e l’iniziativa politica. Il 3 gennaio 1925 si carica sulle spalle tutte le violenze fasciste. Proclama in un discorso alla Camera: «Assumo, io solo, la responsabilità politica, morale storica di tutto quanto è avvenuto». Rincara: «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere…a me la responsabilità di tutto questo».
Il Duce, capo della rivoluzione nera e del governo, rivendica anche la responsabilità dell’assassinio di Matteotti morto «per mano del fascismo».
Ora presidente del Consiglio di un governo di destra-centro è Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, un partito postfascista. Meloni ha criticato il fascismo e vinto le elezioni politiche del 2022 ma ha respinto e respinge le sollecitazioni a dichiararsi antifascista.
Emergono delle pericolose nostalgie per il Ventennio. A sorpresa scoppia il caso di Antonio Scurati. Il programmato intervento dello scrittore sul delitto Matteotti e il 25 aprile è improvvisamente cancellato dalla Rai amministrata dal governo Meloni. Elena Matteotti, nipote di Giacomo, in una intervista all’Avanti! della domenica si dice preoccupata. Ha invitato il governo Meloni «a ricordare» il nonno e il fascismo e a prendere «una posizione chiara su ciò che è stato». Ma l’invito «è stato ignorato». Pensa che questo sia «un periodo pericoloso per i valori» per i quali ha combattuto Giacomo Matteotti. Precisa: «Credo che ci sia una finta libertà di espressione e che in realtà non sia garantita». Ha la sensazione «che esista una sorta di censura strisciante dei valori di libertà».
Ha ragione Elena Matteotti: alle volte c’è censura ma alle volte c’è perfino la paura di esporsi anche con atti minimi per non correre rischi. Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera è indulgente. Nella rubrica delle lettere al quotidiano arriva a comprendere le paure degli abitanti di via Pisanelli. Il titolo del suo parere è stentoreo: «Perché difendo i condomini». Il giornalista scrive la candida motivazione: sono contrari alla targa su Matteotti perché «vogliono solo essere lasciati tranquilli» da possibili rischi. Strano. Nessuno gli chiede un gesto eroico. Eroico è Matteotti, sfida Mussolini e ci rimette la vita. I condomini di via Pisanelli invece vogliono evitare il rischio del palazzo imbrattato di vernice nera da qualche nostalgico del fascismo. Addio senso civico democratico. Il “quieto vivere” sta prevalendo in Italia.