Secondo le ultime stime di Eurostat, sono 359 milioni gli aventi diritto al voto nelle elezioni europee di giugno. E visto che siamo a pochi giorni dalla scadenza, nelle sedi politiche di Bruxelles e in quelle dei Paesi che contano di più tra i 27 dell’Unione c’è grande fibrillazione. Anche perché, secondo numerosi sondaggi, questa volta l’esito del voto potrebbe cambiare il quadro politico dell’Ue.
Allo stato delle cose, è però impossibile prevedere se l’annunciata ascesa della destra e il calo dei socialisti alla fine saranno tali da ribaltare la maggioranza di centrosinistra che da anni governa in Europa. E l’impossibilità di qualsiasi previsione attendibile dipende dall’incertezza sui dati dell’astensionismo. Infatti almeno la metà dei quasi 360 milioni di cittadini europei che hanno diritto a scegliere 720 nuovi rappresentanti dell’Europarlamento non si presenteranno alle urne. Ma questo solo nella migliore delle ipotesi, cioè con un’affluenza uguale a quella del 2019. Altrimenti l’astensionismo potrebbe anche avvicinarsi al 60 per cento. Come già accaduto nel 2014 e nel 2009, quando l’affluenza alle urne non superò l’asticella del 43 per cento.
Ed eccoci, quindi, al cuore della questione: la sfiducia nell’Ue, che in alcuni Paesi supera perfino quella nella classe politica. Con la nomenclatura europea vista come distante dai problemi reali della gente, e una casta di euroburocrati capace solo di produrre regolamenti, regole e regolette difficili da rispettare. Un problema enorme, come dimostrato dalla valanga di complicatissime norme introdotte per la cosiddetta “transizione ecologica”.
Intanto l’Europa a 27 chiama i suoi cittadini a votare per una Unione che spesso è tale solo di nome. Come dimostrano l’assenza di una linea comune in politica estera e nella difesa, che ci vede ancora dipendenti da una ex superpotenza in declino come gli Usa. Per farla breve, oggi Bruxelles non ha un ruolo in nessuna delle grandi questioni geopolitiche che stanno cambiando il mondo. Conta poco anche perché non riesce ad avere una posizione comune e a parlare con una sola voce. A decidere invece è sempre e soltanto il cosiddetto asse franco-tedesco. Come si è visto pochi giorni fa quando il presidente cinese è venuto in Europa ed è andato subito a Parigi dove ha incontrato Macron con la presidente della Commissione europea che ha partecipato al colloquio da invitata del presidente francese.
Ma a dare il quadro esatto dello stato dell’Unione sono le enormi differenze salariali tra i 27 paesi aderenti. E l’Italia non è messa per niente bene. Nella cartina che pubblichiamo, elaborata dal settimanale Visao sugli ultimi dati Eurostat, vengono riportati i salari medi europei per ora praticati nel 2023. Basta dare un’occhiata per rendersi conto delle enormi differenze salariali esistenti in quella che continuiamo a chiamare Unione europea. Una realtà dove un lavoratore lussemburghese guadagna 47,2 euro l’ora, che sono quasi il doppio dei 24 della media europea, ma soprattutto 39 in più della paga oraria di un lavoratore della Bulgaria, paese all’ultimo posto di questa incredibile classifica…