Bentivoglio, Malvezzi,
Poggi i signori
dell’antica Bologna

I portici di Bologna sono una delle sue meraviglie medioevali. I portici si sviluppano lungo tutta la città per oltre 60 chilometri: riparano dalla pioggia, aiutano la socialità, la mobilità, le attività commerciali ed artigianali. Bologna vanta il portico più lungo del mondo: quasi 4 chilometri per collegare la città al Santuario della Madonna di San Luca. Maria Luisa Berti ci illustra come e perché nacquero i portici.

Bentivoglio, Palazzo Bentivoglio a Bologna

Palazzo Bentivoglio a Bologna

A Bologna attraversata Strada Maggiore, oltre Piazza Aldrovandi, si segue la Via Giuseppe Petroni fino a Piazza Verdi, in Via Zamboni. In questa piazza, dove ora sorge il Teatro Comunale, c’era il maestoso Palazzo dei Bentivoglio, la cui costruzione fu iniziata da Sante nel 1460 e terminata da Giovanni II. Era il simbolo del potere di questa famiglia, invisa a molti notabili bolognesi che, avendo subito persecuzioni, lutti, esili, non vedevano l’ora di vendicarsi. 

Tra i nemici dei Bentivogli c’era la potente famiglia dei Malvezzi che aveva le sue case tra Piazza Rossini e le Due Torri. Fu grazie all’appoggio di Papa Giulio II che Malvezzi, Canetoli, Marescotti, Caccianemici cacciarono i Bentivoglio da Bologna e il loro palazzo fu spogliato, devastato, distrutto (1507). Il luogo prese il nome di guasto dei Bentivoglio. È rimasto il lungo ed elegante porticato, voluto da Giovanni II (1478), che da Piazza Verdi affianca la Chiesa di San Giacomo, in Via Zamboni, fino a Piazza Rossini, dove si trova l’entrata della loro Chiesa.

Interno di Palazzo Bentivoglio di Bologna

Era il percorso trionfale dei Bentivoglio quando, dalla loro fastosa dimora, si recavano alle funzioni religiose. Il portico, attribuito a Tommaso Filippi, tagliapietre di Varignana, è sostenuto da 36 snelle colonne scanalate di macigno con capitelli corinzi, con archi a tutto tondo e volte a crociera. Sopra le arcate una trabeazione con un fregio di cotto tinteggiato su cui si notano tracce di colorazioni e dorature tipiche dei palazzi bentivoglieschi. Sotto il portico c’erano nove nicchie sepolcrali dipinte, ora murate ad eccezione di quella raffigurante il Santo Sepolcro Scoperchiato, attribuito a Johanes Othonelli.

Piazza Verdi fino alla Porta Zamboni è la storica zona universitaria da quando, per volere di Napoleone, nel 1802/1803, Palazzo Poggi divenne la sede ufficiale dell’università. Già nel corso del Settecento Palazzo Poggi aveva ospitato musei, biblioteche, l’Istituto di Scienze di Luigi Ferdinando Marsili, l’Accademia Benedettina e quella Clementina, la specula del Torri, cioè la torre per esplorare il cielo. L’Alma Mater Studiorum (o studium), la cui data di fondazione risale al 1088, è considerata la più antica università del mondo.

Palazzo Poggi a Bologna

Lo studium non aveva avuto sede stabile fino al 1561, quando Papa Pio IV fece riunire le varie scuole in un unico luogo, l’Archiginnasio. Prima di allora i glossatori, cioè i professori, tenevano lezione nella loro abitazione oppure in case in affitto. La costruzione di Palazzo Poggi fu cominciata da Alessandro Poggi, ma fu il fratello Giovanni a dare l’incarico a Pellegrino Tibaldi e a Bartolomeo Triachini per terminarne la costruzione: doveva essere un edificio a celebrazione della gloria di Giovanni Poggi. Questi, dopo la morte della moglie, era diventato sacerdote e, trasferitosi a Roma, aveva ricoperto importanti cariche diplomatiche, favorendo l’intesa tra Papa Clemente VII e il re Carlo V che fu nominato imperatore nel 1530, proprio a Bologna, grazie al cardinale Poggi. Il maestoso palazzo passò ai Montecuccoli, ai Galli, ai Cellesi e in fine ai Banchieri che lo vendettero al Senato Bolognese. Nel 1714, durante lavori di restauro, fu rinvenuto nello spessore di un muro, il cadavere di una donna con ancora infisso nel petto il pugnale che l’aveva uccisa: doveva essere una nobildonna perché aveva due pantofole di damasco ai piedi.
Oltre al portico di Palazzo Poggi, in Via Belle Arti, sono riconosciuti dall’Unesco i portici dell’Accademia delle Belle Arti, che era l’Accademia Clementina, e quelli della Pinacoteca Nazionale di Bologna.

All’inizio di Via Santo Stefano si snodano i Portici del Baraccano il cui nome deriva dal Barbacane, l’antica fortificazione della cerchia muraria del Trecento. Iniziano dalla Chiesa di San Giuliano, nei pressi della Porta S. Stefano e terminano al voltone che porta al Santuario di Santa Maria del Baraccano, chiamata anche la Chiesa della Pace, dove per antica consuetudine si recano gli sposi dopo la funzione religiosa.

Portici dell’Archiginnasio a Bologna

La chiesa fu fatta costruire nel 1403 da Giovanni I Bentivoglio per proteggere il dipinto della Vergine con Bambino, che si trovava sotto un’arcata delle mura e a cui il popolo attribuiva vari miracoli. Nel 1472 per incarico di Giovanni II Bentivoglio l’immagine sacra, a cui la sua famiglia era devota, fu restaurata da Francesco Cossa.

Questi portici sono legati alla famiglia Bentivoglio che governò Bologna dal 1401 al 1506. Le prime sette arcate furono costruite ai tempi di Giovanni II Bentivoglio tra il 1491 e il 1500, mentre le ultime colonne sono di epoca più tarda, e nel 1726 il porticato era già stato completato. I capitelli delle maestose colonne in macigno sono di tipo corinzio, decorati con vari animali, piante, simboli e stemmi di famiglie notabili, tra cui quello dei Bentivoglio, la sega a sette denti racchiusa in uno scudo. Le figure dei capitelli furono scolpite da Antonio Lombardo, maestro nel modellare la creta. Davanti al santuario la Confraternita del Baraccano fece costruire nel 1438 l’Ospedale dei Pellegrini che divenne il Conservatorio delle Putte dopo la pestilenza del 1527, portata dai Lanzichenecchi.

Per sottrarle alla prostituzione e salvaguardarne la verginità, i responsabili dell’Istituto dovevano scegliere 75 fanciulle orfane scartando quelle «deformi, storpiate, gobbe o altri mostri…». Le putte qui ospitate tessevano, cucivano e ricamavano fino a 14 ore al giorno e i loro veli, pizzi e merletti di seta erano ricercati beni di mercato fino ai primi dell’Ottocento quando alla lavorazione serica si sostituì quella della canapa. Le fanciulle rimanevano qui recluse per sette anni e, trascorso tale tempo, veniva decisa la loro sorte: in convento oppure in matrimonio con sconosciuti attratti dalla loro dote, dote guadagnata con il loro lavoro, ma conservata e fornita dal Conservatorio.

Terzo articolo – Segue