Sabato 8 giugno ore 18 in punto, ho votato. Bene direte, ma questa, senza offesa, è una non notizia. Ne siete certi? Intanto a differenza di molti, troppi ormai, ho fatto il mio dovere di cittadino, e uno; credo di avere votato bene, e quindi mi sento coinvolto, e due; ho verificato direttamente quanta strada abbiamo fatto e quanta ancora ne dobbiamo fare senza andare a sbattere, e tre.
Dunque arrivi alla sede elettorale senza difficoltà, tutto tranquillo, militari e agenti fanno solo bella presenza, anche un veterano come me procede agevolmente, volti sorridenti, ed è pure una splendida giornata. Poi…stai per varcare l’uscio del tuo seggio e ALT, dall’interno una voce non amica ti blocca: ora è il turno di una donna! Guardi incredulo la disinvolta titolare di tale sentenza, disciplinato però ti volti a cercare, ma…sei solo a far la fila. Ti viene quasi voglia di dichiarare che ti percepisci fluido/a. Regalo il sorriso più stupido e insultante di cui sono capace ed entro.
La scheda riporta alla realtà e non c’è di che stare allegri. Puoi esprimere fino a tre preferenze ma a sesso alterno: prima una donna, poi un uomo, poi una donna, oppure prima un uomo, poi una donna, poi un uomo. E questo per ora, aspettando altri aventi diritto privilegiati da alternare. Lo sai ormai, ma ancora ti stupisci. E già, sei il solito sciocco: lo scopo evidente è favorire l’elezione di più donne. Ma ammesso che mi faccia piacere, la cosa non può essere automatica.
C’è sempre un problema di scelta effettiva. Se “non” voglio eleggere una donna e mi interessano due candidati maschili, cosa faccio per non incorrere nella nullità? Ci arriva anche un bambino. Scelgo dalla lista il nome femminile meno gettonato e lo incastro fra due maschili vincenti. Tombola. A Roma si dice, ci si perdoni il “francesismo”, contenti e coglionati. Esco ancora una volta inutilmente frustrato (una vita spesa inutilmente se questi sono i risultati), ma subito il buon umore mi riconquista. All’arrivo ero troppo concentrato sul voto e ho ignorato, anche perché lo frequento a volte, il contesto in cui ho esercitato, come sempre con emozione, il mio diritto politico.
Che una volta era anche un dovere e “non ha votato” campeggiava nel certificato di buona condotta a ostacolare, ad esempio, l’assunzione in enti pubblici o negli apparati di sicurezza e a costituire un precedente, per quanto non rilevante, di colpevole disaffezione verso leggi e regolamenti. Aberrante per la discrezionalità delle valutazioni riservate, affidata a marescialli dell’Arma, parroci e vicini di casa ostili, l’abolizione sacrosanta della schedatura ha comportato anche l’abolizione della buona cittadinanza. Forse se quel timbro tornasse civicamente “infamante” si potrebbe parlare di nuovo di etica, di responsabilità, credibilità, impegno, onore…
Siamo andati fuori tema? Non tanto. Ho votato in piazza del Collegio Romano presso il liceo classico Visconti, in questi giorni mal vissuto grazie a qualche sciagurato, ma pur sempre l’Istituto di massima eccellenza in questa Roma che cerca disperatamente di difendersi. Quel cortile imponente e al di là la Chiesa di Sant’Ignazio con la sua spettacolare ricerca di Dio allo specchio. Sfondi un muro e sei nella sede del ministero dei beni culturali, che ospitava una volta il museo etnologico Pigorini, ora all’EUR, uno dei più ricchi e suggestivi d’Europa. E sempre lì dimorava l’immenso patrimonio della Biblioteca Nazionale prima del suo trasferimento a Castro Pretorio.
Gesuiti di qua e domenicani dall’altra parte con la Biblioteca Casanatense e il suo spettacolare salone, e la basilica di Santa Maria sopra Minerva, dove dorme in eterno Santa Caterina da Siena. Il tempo di un respiro e se ti sposti sul corso, già via Lata, in una piazzetta senza pretese trovi la chiesa di San Marcello e sei davanti al crocifisso miracolato che scampò, unico reperto, ad un devastante incendio. E ti assale, da ateo, un pensierino devoto visto che lo si ritiene in grado di salvare i romani. E c’è tanto bisogno di interventi superiori. A pochi passi trovi l’estro per tornare laico e vai a toccare quel piè di marmo, in via S. Stefano del Cacco, resto mirabile di una gigantesca statua. Piede di marmo, che sia un invito alla Beppe Grillo? No i calci fanno male, meglio evitarli. Uno sgambetto però!
Siamo nel centro pulsante di una città che ha sempre brillato di luce propria, anche nei momenti più tristi, unica al mondo non solo per la romanità museale. Un pensierino non troppo affettuoso va ai “cancellatori”. Allora torniamo a bomba: ho votato, c’era o non c’era la notizia?