Va sempre peggio per l’informazione italiana. Con le vendite dei giornali in picchiata e la Rai sotto tutela, il sistema mediatico sopravvive in uno stato preagonico. Dati alla mano, le copie cartacee dei quotidiani sono scese di un altro dieci per cento su base annua, precipitando a un milione e 200 mila copie. E parliamo, si badi bene, del venduto totale.
Per avere un’idea di cosa questo significhi, basta ricordare che trent’anni fa nel mondo dell’editoria ci si lamentava continuamente per “il basso indice di lettura” dei quotidiani italiani. E parliamo di un’epoca in cui si vendevano circa sei milioni di copie al giorno.
Alla fine degli anni Sessanta il solo Corriere della Sera, allora diretto da Spadolini, diffondeva circa 700 mila copie quotidiane. Pochi anni dopo, nel 1987 colpito dallo scandalo P2, andò in crisi, ma non scese mai sotto le 540 mila copie, anche se fu sorpassato dalla trionfante Repubblica di Eugenio Scalfari volata a 664 mila copie. Pochi anni dopo la Repubblica e un Corriere uscito dalla crisi, presero a sfidarsi con vendite record che sarebbero arrivate a sfiorare il milione di copie, anche se gonfiate dall’abbonamento di giochi tipo Bingo.
La realtà odierna vede ancora Corriere e Repubblica come primo e secondo giornale italiano, ma con il quotidiano di via Solferino che vende in edicola 217 mila copie contro le 107 mila copie del giornale fondato da Scalfari e oggi diretto da Maurizio Molinari. Numeri che non trovano nemmeno l’aiuto delle edizioni online. Infatti da noi il formato digitale non ha mai incontrato il favore del mercato e i quotidiani italiani online vendono in totale appena 210 mila copie giornaliere. Se questi sono i numeri, siamo ormai di fronte a un’editoria giornalistica vicina al coma ma già condannata all’irrilevanza.
E per spiegare un simile disastro non si continui a sostenere che è tutta colpa di Internet. Il problema vero è la bassa qualità dell’informazione scritta (e non solo). La mancanza di valore aggiunto rispetto all’agenda delle notizie quotidiane disponibili. Identiche per forma e contenuto a quelle messe in onda dai telegiornali. Tutte o quasi frutto della “narrativa” suggerita dagli uffici stampa che contano. A cominciare, naturalmente, da quello di Palazzo Chigi. Mai un approfondimento, mai un’inchiesta giornalistica degna di questo nome, mai un punto di vista indipendente che non sia quello del potere di riferimento. Politico o economico che sia.
E così apri un giornale e ti annoi a morte. Accendi la Tv per vedere un telegiornale e ti viene voglia di spegnerla subito dopo i titoli di testa. Per il disgusto di fronte a un’informazione quasi totalmente asservita.
Come si legge nell’ultimo rapporto Ue del “Centro per il pluralismo e la libertà nei media”, il «pericolo per l’indipendenza dell’informazione italiana è alto». L’allarme maggiore riguarda il servizio pubblico radiotelevisivo, data la «crescente occupazione e spartizione soprattutto da parte del principale partito di governo della Rai». Di conseguenza, «la qualità e l’autorevolezza dei notiziari del servizio pubblico è diminuita “nettamente”, mentre il pluralismo dell’informazione è fortemente peggiorato».
Per avere l’idea della situazione odierna, non si deve nemmeno tornare ai fischi del festival di Taormina al ministro Sangiuliano trasformati magicamente in applausi nel filmato mandato in onda da Rai1. Per avere l’idea di cosa è oggi TeleMeloni basta infatti vedere come il servizio pubblico ha trattato la rielezione di Ursula von der Leyen al vertice della Commissione Ue, ignorando l’isolamento della nostra premier che alla fine ha votato contro.
E – soprattutto – sorvolando sul dato politico più importante. E cioè sul fatto che la numero uno dell’Ue ha ottenuto il bis (e anche in maniera netta) bruciando la Meloni. Perché è stata rieletta grazie ai voti dei soli eurodeputati popolari, socialisti, liberali e verdi senza dover ricorrere all’aiutino dei Conservatori europei che la nostra premier aveva contrattato fino alla fine.
Infatti non è un caso se quella di FdI è stata l’unica delegazione italiana a non dichiarare la sua posizione prima del voto e a dichiarare il suo “no” solo a pochi minuti dal termine dello scrutinio. Nella “narrazione” dei Tg invece la leader italiana ha dato prova di “coerenza”, in quanto “contraria nel metodo e nel merito” al programma presentato dalla presidente della Commissione Ue per ottenere il secondo mandato. Ragion per cui il voto contrario di Fdl era «nell’aria già dopo il colloquio telefonico di qualche ora prima tra von der Leyen e Meloni»…
Senza nemmeno accennare al fatto che la nostra premier, dopo aver trattato fino all’ultimo minuto il suo appoggio alla rielezione di Ursula von der Leyen al vertice Ue, è stata bruciata sul filo di lana dai verdi che con il loro “sì” hanno reso superfluo un aiutino del gruppo dei Conservatori presieduto dalla leader di Fratelli d’Italia. Il problema è che adesso l’isolamento della destra meloniana a Bruxelles porterà inevitabilmente a una perdita di peso dell’Italia nella prossima Commissione e nei Palazzi dell’Unione europea.