Adesso sembra tutto chiaro; la strombazzata offerta di Ryanair per Alitalia era solo un bluff. Una mano di poker che Michael O’Leary, lo spregiudicato numero uno della low cost irlandese, aveva giocato per sostenere il titolo in Borsa in vista del terremoto che sarebbe arrivato con il clamoroso annuncio della cancellazione dei voli di 400 mila passeggeri.
Il più grosso taglio della storia dell’aviazione civile, un terremoto che sta scuotendo dalle fondamenta la società aerea irlandese improvvisamente chiamata a fare i conti con quel libero “mercato” che ha sempre messo davanti ai diritti dei lavoratori. Con decine di piloti in fuga o tentati dall’ammutinamento, adesso la compagnia vede mettere in discussione il suo modello di business e sembra destinata a pagare a caro prezzo quel dumping sociale su cui ha costruito una fortuna. Con milioni di euro di rimborsi e una miriade di azioni giudiziarie annunciate dalle associazioni di consumatori di mezza Europa.
Che ci fosse qualcosa che non quadrava nella proposta d’acquisto lanciata poche settimane fa con grande clamore mediatico dall’amministratore delegato Michael O’Leary lo avevamo già segnalato su questo giornale. Ecco cosa scrivevamo il 6 settembre scorso: “Ryanair continua a ripetere che farà di tutto per comprarsi l’Alitalia, ma prendendo solo 90 dei 120 aerei della flotta per non superare la quota di mercato fissata dall’Antitrust. Ma, come Etihad, sembra un finto pretendente. Secondo Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti all’Università Bicocca di Milano, «la proposta di O’Leary non ha senso operativo. Primo, perché l’Alitalia ha solo una quarantina di aerei e il resto è in leasing. Secondo, perché Ryanair non ha un solo Airbus, ma tutti Boeing 737-800. Quindi, le due flotte non sono integrabili»”.
L’offerta, se così si può chiamare, sembrava un’operazione pubblicitaria per far parlare di sé, mettendo in evidenza la forza della low cost di Dublino che, dopo aver superato Alitalia per numero di passeggeri trasportati da e per il nostro paese, entrava in gara per comprarsi l’ex compagnia di bandiera italiana.
Adesso è facile capire che quella ostentazione di forza e di potenza, era stata studiata soltanto per limitare i danni del terremoto in arrivo. Nell’annunciare arrivi e partenze da qui a fine ottobre, con il taglio di una cinquantina di voli al giorno e il coinvolgimento di almeno quattrocentomila passeggeri, l’ad di Ryanair ha dato spiegazioni confuse. Un errore di programmazione, le ferie degli equipaggi, le malattie dei piloti e via di questo passo.
Ma alla fine la verità è saltata fuori: la fuga dei piloti verso compagnie concorrenti che pagano meglio e – soprattutto – rispettano quelle regole e quei contratti di lavoro che la low cost irlandese ha sempre visto come il fumo negli occhi. Preferendo comandanti e primi ufficiali “assunti” con partita Iva attraverso agenzie, piloti retribuiti a ora di volo senza pagamento di ferie, riposi e malattie. Tasse pagate in Irlanda, per evitare le aliquote più alte dei vari paesi europei dove pure gli equipaggi hanno la loro base. E così, quando il mercato dei piloti ha preso a tirare forte è cominciata la grande fuga. Secondo indiscrezioni di stampa mai smentite, se ne sarebbero già andati via più di 700.
Ritrovatasi improvvisamente senza “materia prima”, l’azienda è stata quindi costretta a tagliare la produzione e correre ai ripari, offrendo 12 mila euro ai piloti che si impegneranno a non lasciare la compagnia per un anno. Una mossa disperata. Ma non è detto che una mossa del genere basti a tamponare l’emorragia e ad evitare il peggio. La verità, ha sintetizzato un ex pilota di Ryanair, è che «hanno tirato troppo la corda, e ora chi può scappa…».