Strane elezioni quelle siciliane. Domenica 5 novembre è una giornata importante, serve ad eleggere il nuovo governatore della Sicilia e a rinnovare il consiglio regionale a Palazzo dei Normanni. Il voto, in qualche modo, influirà anche sugli equilibri politici nazionali.
Centro-sinistra, centro-destra, cinquestelle si sono scontrati in una battaglia campale per due mesi di campagna elettorale. Matteo Renzi (Pd), Beppe Grillo (M5S), Silvio Berlusconi (Forza Italia), Matteo Salvini (Lega) hanno percorso in lungo e in largo la Sicilia a caccia di voti. Altrettanto ha fatto Claudio Fava, schierato dalle sinistre (Mdp e Sinistra Italiana) come candidato alla presidenza della regione siciliana.
Si è parlato di tutto: autonomia regionale, tasse, lavoro, immigrati asiatici ed africani, burocrazia, opere pubbliche, ambiente, mafia. Ma non si è parlato del dramma del Sud. Più esattamente: qualcuno all’inizio ha annunciato un piano per il rilancio del Mezzogiorno, ma nessuno alla fine ha elaborato ed illustrato un progetto di sviluppo, insieme economico, civile e sociale. Eppure il Sud, in testa la Sicilia, è la parte più povera e più sofferente dell’Italia, quella che ha subìto il colpo più duro della Grande crisi economica internazionale cominciata nel 2008, la più grave dopo quella causata dalla Seconda guerra mondiale.
Il Mezzogiorno è stato devastato. È ripartita l’emigrazione di massa conosciuta alla fine del 1800 e nella prima metà del 1900. Dal 2008 al 2015 più di 380.000 meridionali si sono trasferiti, secondo l’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, dalle regioni del Sud a quelle del Centro-Nord. E oltre 500.000 italiani, in gran parte del Mezzogiorno, hanno varcato le Alpi per andare a lavorare, in particolare, in Germania, Regno Unito e Francia. Partono tutti: soprattutto i giovani e i lavoratori più qualificati.
La fragile struttura produttiva del Mezzogiorno ha subìto un colpo micidiale. Hanno chiuso molte grandi fabbriche come la Fiat di Termini Imerese e tante piccole e medie aziende manifatturiere e dei servizi. Perfino l’Ilva di Taranto, il più grande centro siderurgico d’Europa un tempo dell’Iri e poi privatizzato, ha rischiato di chiudere i battenti per ragioni ambientali e tecnologiche ed ora la sua salvezza è legata ad una multinazionale che ha annunciato un taglio all’occupazione e alla produzione.
La Sicilia, cinque milioni di abitanti, una delle più importanti regioni italiane e del Mezzogiorno, potrebbe avere un ruolo trainante nel rilancio del Sud. È una delle cinque regioni a statuto speciale con un’ampia autonomia decisionale su tutte le materie più importanti. La Sicilia, ponte di cultura tra l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa, avrebbe tutte le carte da giocare in campi come l’industria digitale, il turismo, la cultura, la ricerca, l’ambiente. Invece niente, dalla campagna elettorale non è emerso alcun disegno di sviluppo per l’isola e per il Mezzogiorno.
Non è venuta fuori nemmeno un’idea sulla quale lavorare. Anzi, un’idea è rifiorita: costruire il ponte sullo Stretto di Messina. Berlusconi ha rilanciato la proposta già avanzata prima nel 1994 e poi nel 2001 e mai decollata: il ponte «è un impegno preciso nei confronti della Sicilia e dei siciliani» insieme a «un piano Marshall» per la regione.
Più o meno nello stesso modo la pensa il candidato del centro-sinistra (versione Pd) a presidente della regione siciliana Fabrizio Micari: «È un’opera fondamentale e strategica». Del resto lo stesso Renzi disse sì al ponte un anno fa, un’opera sempre bocciata prima di allora dal centro-sinistra. Il ponte per collegare la Sicilia al resto delI’talia, del quale si parla da oltre cento anni, può piacere o no, è una scelta scollegata da un progetto di sviluppo complessivo, ma almeno ha il pregio di rimettere al centro dell’attenzione nazionale il depresso Sud.
Il problema del Mezzogiorno è stato semplicemente accantonato, azzerato: non suscita né la solidarietà né l’interesse economico per un’azione di sistema della collettività nazionale. Dominano gli interessi e le ragioni del Nord. Anche la parte settentrionale del Paese è uscita malconcia dalla Grande crisi e dalle sfide della globalizzazione economica, ma resta sempre tra le zone più ricche dell’Europa e ha saputo reagire curando le tante “ferite” forse anche a spese del Mezzogiorno. Anche ora la ripresa economica è treno che porta quasi sempre nelle regioni settentrionali.
Ma o si affrontano e si risolvono i gravi problemi del Sud o c’è il rischio di una travolgente vittoria della protesta populista, di destra o di sinistra. C’è anche il pericolo di una rivolta violenta, spinta dalla precarietà, dall’insicurezza e dalla “mancanza del pane”.