L’ultima puntata (pardon, sentenza) del divorzio-telenovela fra Veronica Lario e Silvio Berlusconi colpisce in maniera particolare, sia per la simpatia o meno verso i due notissimi personaggi e sia per la consistenza delle somme in gioco. L’ultima pronuncia in ordine di tempo, questa della Corte d’Appello di Milano, stabilisce che si devono applicare alcuni parametri innovativi introdotti da una recente sentenza della Cassazione e che perciò la signora Lario non dovrà più ricevere il cospicuo assegno mensile di 1,4 milioni di euro, così come aveva stabilito il Tribunale di Monza.
E fin qui nulla da eccepire. Può invece, quasi certamente, apparire incivile agli occhi dell’uomo della strada – e non solo a lui – il fatto che la Corte d’Appello milanese abbia stabilito che la moglie di Berlusconi, e madre dei suoi figli, debba restituire quanto ricevuto dal 2014 ad oggi. Ossia una cifra che potrebbe variare tra i 46 e i 60 milioni di euro. La signora, infatti, non ha mica rapinato armi in pugno quelle somme all’ex coniuge, ma le ha ottenute regolarmente in base a una sentenza del Tribunale di Monza. Tra l’altro questo tribunale aveva già decurtato la somma dell’assegno di divorzio: dai 2 milioni al mese, ottenuti a suo tempo al primo appello, si era così passati a 1,4 milioni.
Inoltre, bisogna pensare che gli assegni di divorzio a Veronica Lario erano stati decisi quando la sentenza “rivoluzionaria” della Cassazione (che ha coinvolto l’ex ministro Grilli e sua moglie), era ancora al di là da venire. Quindi il loro ammontare era stato calcolato in base alla normativa allora vigente. Perciò, che la Corte d’Appello milanese abbia variato i parametri di giudizio con nuove regole giunte quando il treno era già in corsa, può anche starci agli occhi dell’uomo della strada.
Ma che la medesima Corte d’Appello pretenda la restituzione degli assegni pregressi, come se Veronica Lario li avesse estorti e non ottenuti con una sentenza, appare incivile. Sempre agli occhi dell’uomo della strada…