Scorro i titoli degli ultimi articoli sull’Atac e mi trovo di fronte a “cronache marziane”. Perché solo su Marte i sindacati di un’azienda inefficiente e disastrata possono minacciare lo sciopero contro un piano industriale che va presentato al tribunale fallimentare per avere l’ok alla procedura di salvataggio.
Continuo a leggere e mi imbatto nuovamente nella protesta sindacale, questa volta per la stretta dell’azienda sull’orario di lavoro e sulla reintroduzione del “badge”. Già, perché bisogna stare su un altro pianeta per esentare dall’obbligo del “badge” i dipendenti di un’azienda di trasporto pubblico.
Trovo tanti titoli sulla gestione (malagestione) dell’azienda capitolina, sul buco dei suoi conti, sulle polemiche attorno al concordato imposto dalla sindaca Raggi che non ha voluto imboccare la via maestra della chiusura (il fallimento pilotato) per fare punto e a capo. Insomma, tante, troppe parole sulle lotte in corso nei palazzi romani attorno al cadavere dell’Atac e quasi nulla sul “servizio” di un’azienda che era, è e sembra destinata a restare un modello di spreco e d’inefficienza. Una cosa indegna, non d’una capitale, ma d’una qualsiasi media città europea.
Sono appena tornato da Saragozza, 700 mila abitanti nel cuore della Spagna, tra Barcellona e Madrid. Al centro del Paseo, la Gran Via che attraversa il centro cittadino, ci sono i binari rialzati della metro di superficie che arriva veloce esattamente all’ora indicata sui display luminosi presenti ad ogni fermata. Se c’è scritto che mancano quattro minuti, si può star certi che saranno esattamente quattro.
Gli autobus sono altrettanto puntuali, ma la metro raggiunge anche la periferia, la zona universitaria e l’area che fu attrezzata per l’Expo del 2008. È la normalità della rete di trasporto pubblico. Ovunque. Vogliamo parlare, invece, del trasporto pubblico romano? Rete che da almeno 30 anni non segue l’espansione della città. Al punto che per andare da un quartiere a quello adiacente (che so, Esquilino-Bologna) bisogna prendere due mezzi. Metro ridicola. Autobus vecchi, malconci e insufficienti. Attese che possono superare i 30 minuti. Periferia abbandonata.
Vivo gran parte dell’anno fuori Lisbona, dall’altra parte del fiume. Per andare in centro, attraverso il ponte sul Tago in treno, il “comboio”. Nelle ore di punta la frequenza è di dieci minuti. Nel resto della giornata di venti. Dalle cinque del mattino all’una di notte. Mi è successo (e più di una volta) di perdere il treno per mezzo minuto. Perché se il tabellone luminoso indica, mettiamo, che la partenza è alle 7,58, puoi stare certo che alle 7,59 quel “comboio” non c’è più e devi aspettare il treno successivo. Sempre così. Le vetture non sono ultramoderne, ma sempre pulite e perfettamente tenute.
Una mattina, se non ricordo male era maggio, la fiancata del treno era ricoperta da una gigantesca pubblicità della Fertagus, l’azienda pubblica che gestisce la linea Lisbona-Setubal. Lo slogan era “La puntualità fa parte del nostro business”. La campagna pubblicitaria è durata due o tre settimane.
Con il “comboio” attraverso il Tago e scendo alla seconda fermata di Lisbona (Sete Rios) perché è una stazione di scambio con la metro. Prendo la scala mobile e senza uscire fuori mi ritrovo a “Jardim Zoologico” dove ferma la linea blu della metropolitana. Anche qui le vetture sono vecchiotte ma curate.
Proprio come a Saragozza, la periferia è collegata con linee di tram veloci che viaggiano in corsia protetta. Si può passare da una linea all’altra utilizzando le stazioni di scambio. Come si fa con il treno e con la metro sotterranea, con la quale si può raggiungere anche l’aeroporto. L’uscita è proprio di fronte alle porte scorrevoli che immettono nell’aerostazione. E stiamo parlando di Lisbona, capitale del Portogallo, che non è propriamente in testa alle classifiche dell’Unione europea.
L’altro giorno rientro a Roma e aspetto mezz’ora un vecchio autobus sporco e ansimante che mi porta da via Gregorio VII in centro, in corso Vittorio Emanuele. A questo punto preferisco andare a piedi a Montecitorio, a scanso di arrabbiature per le lunghe attese. Penso che se abitassi a Ostia e dovessi coprire un percorso simile a quello che faccio quasi tutti i giorni attraversando il Tago verso Lisbona, dovrei servirmi della Ostia Lido. Un’avventura da incubo, di cui ogni tanto si occupano le cronache dei quotidiani. Ma, adesso, mentre scorro gli ultimi titoli sul trasporto pubblico della capitale trovo solo articoli sulla piccola guerra di palazzo attorno al cadavere dell’Atac. Cronache marziane. Appunto.