Il cardiochirurgo è un po’ un “meccanico” speciale, anzi un “mago” straordinario: aggiusta arterie, valvole, vasi sanguigni, cuori rovinati e malandati. Francesco Musumeci, 64 anni,formazione professionale nel Regno Unito, direttore del Centro di Cardiochirurgia dell’Ospedale San Camillo a Roma, ha una vasta esperienza alle spalle. Alle volte cambia addirittura il “motore”, trapianta un cuore sano al posto di uno malato e salva la vita ad un uomo. È un lavoro importante e complicato. I termini cardiochirurgici gergali sono alquanto criptici ma danno l’idea del difficile e prezioso lavoro. Si parla di “chirurgia ricostruttiva valvolare”, di chirurgia “mininvasiva e a cuore battente”, di operazioni “con video assistenza robotica”, di interventi “con l’impianto di valvole per via trans-catetere”.
L’Italia «è all’avanguardia», sintetizza Musumeci. «Ne abbiamo fatta di strada», dice in occasione del meeting internazionale organizzato a Roma il 24 e 25 novembre per festeggiare i 50 anni della Società italiana di chirurgia cardiaca e vascolare, in sigla Sicch. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto ieri mattina al Quirinale una delegazione del Sicch, guidata dal presidente Musumeci.
Nel 1967 l’Italia aveva 20 centri di cardiochirurgia concentrati al nord, oggi ne ha 97 distribuiti su tutto il territorio nazionale. Si è passati da 4-5 mila interventi l’anno di 50 anni fa ai 40-50 mila di adesso. E sono operazioni in grandissima parte coronate dal successo: la mortalità è molto ridotta. Nei casi di necessità si praticano interventi in più fasi. Se non c’è un cuore da trapiantare (i pazienti in lista di attesa sono 700-800 in Italia) e un malato è grave e in pericolo di vita, si procede immediatamente con l’installazione di un organo artificiale “per stabilizzare” le pulsazioni e successivamente seguirà il trapianto grazie a un donatore.
«In mezzo secolo abbiamo fatto grandi e continui progressi», precisa Musumeci in un comunicato stampa. È soddisfatto del bilancio e dei traguardi raggiunti: «Si è passati da poche migliaia di interventi a circa 50.000 l’anno con un tasso di mortalità che si è progressivamente ridotto, nonostante oggi vengano sottoposti ad intervento al cuore pazienti sempre più anziani e con un rischio più alto per la presenza di patologie associate».
Anche le persone anziane possono sottoporsi a una operazione perché «il continuo progresso della tecnologia consente oggi di intervenire chirurgicamente anche in pazienti ultra ottantenni, in passato considerati candidati marginali alla chirurgia cardiaca. Ed oggi proprio questa tipologia di pazienti costituisce la maggioranza degli operati. Tutto questo è stato possibile per una continua evoluzione e un continuo miglioramento delle tecniche chirurgiche e delle tecniche di gestione intra e peri-operatoria dei pazienti».
E gli interventi vanno quasi sempre bene. Musumeci dà qualche particolare: «Adesso gli ultraottantenni possano affrontare questo tipo di intervento con un rischio operatorio contenuto, che non supera nella grande maggioranza dei casi il 5%, e questo nonostante la complessità clinica di questi pazienti. L’evoluzione tecnologica ha consentito inoltre di mettere a punto tecniche sempre meno invasive e quindi meno traumatiche».
Una volta i cardiochirurghi usavano in profondità il bisturi mentre adesso non è più così. Il merito è delle nuove tecniche: «Oggi si guarda con grande interesse all’utilizzo delle tecniche trans-catetere, che permettono di intervenire senza aprire il torace e senza la necessità della circolazione extracorporea, garantendo così un recupero molto più rapido dopo l’intervento chirurgico».
Dal 1967 i cambiamenti sono stati radicali. Gli ospedali e i cardiochirurghi hanno dovuto ripensare un po’ tutto: «In questi cinquanta anni abbiamo assistito anche al cambiamento nell’epidemiologia delle patologie che richiedono un intervento sul cuore. Negli anni passati il 60-70% dei pazienti adulti che andavano incontro ad un intervento cardiochirurgico erano affetti da patologia coronarica, e l’intervento prevalente era quindi il by pass aorto-coronarico. Oggi, con l’aumento dell’età media della popolazione assistiamo ad un aumento delle patologie valvolari, la cui incidenza aumenta proprio con l’aumentare dell’età. Questo ha portato ad un aumento progressivo degli interventi sulle valvole cardiache, che oggi rappresentano più del 60% degli interventi in tutte le cardiochirurgie italiane”.
L’invecchiamento della popolazione italiana ha moltiplicato le attenzioni. Musumeci spiega il perché: «L’operare pazienti sempre più anziani ha portato i cardiochirurghi italiani a confrontarsi quotidianamente con la necessità di effettuare una stima del rischio chirurgico individuale sempre più precisa ed obiettiva, anche al fine di poter fornire al paziente anziano una informazione sempre più corretta e puntuale».
La cooperazione tra istituzioni sanitarie, ospedali e cardiochirurghi è aumentata: «Si è fatta sempre più stretta la collaborazione tra i cardiochirurghi e le agenzie governative deputate alla valutazione degli esiti degli interventi di cardiochirurgia. Con la tecnologia che oggi abbiamo a disposizione e con una valutazione attenta del rischio chirurgico dei pazienti, oggi possiamo ottimizzare e ‘targettizzare’ con sempre maggiore precisione le strategie di trattamento verso questa fascia di popolazione così delicata».