Un capo di Stato turco a Roma è un evento storico. Cinque secoli fa l’Impero turco voleva giungere a Roma, ma da conquistatore. Adesso Recep Tyyip Erdogan non ha intenzioni bellicose ma dialoganti, tuttavia certamente non è né un pacifista né un cultore della democrazia. Comunque dispone di un potente esercito e di un’economia in buona salute.
Gli ottomani nel 1453 espugnarono Costantinopoli, la seconda Roma, con un feroce massacro, ponendo fine al millenario Impero romano d’oriente. Dilagarono in Medio Oriente, in nord Africa e in Europa facendosi alfieri dell’islam anche a scapito degli arabi. Furono fermati il 7 ottobre 1571 nella battaglia di Lepanto da una Santa alleanza cristiana sollecitata dal papa Pio V. Selim II, il sultano ottomano, dopo la sconfitta nella battaglia navale di Lepanto, prese atto della disfatta subita per mano delle flotte europee: «Una battaglia può essere vinta o perduta, per volontà di Dio questa volta era destino che andasse così».
Erdogan ieri, accompagnato da ben cinque ministri, ha incontrato nella città eterna prima papa Francesco, poi il capo dello Stato Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Le foto mostrano il pontefice, simbolo del mondo cattolico, e il presidente della repubblica turca, emblema dell’universo musulmano, con i volti scuri, ma dialoganti. Sono passati ben 59 anni dall’ultima visita di un presidente turco in Vaticano, quando Celal Bayar fece visita a Giovanni XXIII in apertura delle relazioni diplomatiche tra i due Stati.
Si è svolto un colloquio riservato di 50 minuti senza conferenze stampa. Francesco ed Erdogan possono trovare una convergenza su Gerusalemme perché comune è la critica alla mossa degli Stati Uniti di volere la città sacra a cristiani, ebrei e musulmani come capitale dello Stato d’Israele, senza tanti riguardi anche per i diritti dei palestinesi. Tuttavia il campo della discussione e dei contrasti è ampio: diritti umani e delle minoranze religiose in Turchia, immigrati, convivenza pacifica con i popoli e i paesi confinanti. Non solo. Ancora è aperta la ferita di quando papa Bergoglio ricordò il genocidio del popolo armeno all’inizio del 1900 ad opera dei turchi: Erdogan non la prese per niente bene, quell’eccidio non è stato mai ammesso.
Il presidente della repubblica turca in pochi anni ha trasformato radicalmente la Turchia: non è più il paese laico fondato da Mustafa Kemal Ataturk sulle ceneri del disfatto Impero ottomano, ma uno stato con forti tratti autoritari e con venature d’integralismo islamico. Erdogan, dal fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016, ha riempito le carceri di decine di migliaia di oppositori politici, di dissidenti, di giornalisti, di magistrati, di militari e di poliziotti. La repressione colpisce soprattutto la minoranza curda.
La situazione è divenuta esplosiva da quando l’esercito turco ha oltrepassato il confine ed ha attaccato i curdi, che pure sono stati essenziali per la sconfitta del terrorismo nella roccaforte dello Stato islamico (il temibile Isis), ad Afrin in Siria. Il “sultano” Erdogan teme che la nascita di uno stato curdo in Siria possa fungere da magnete per una analoga aggregazione in Turchia. Di qui il ricorso alle truppe per cancellare le velleità indipendentiste curde in Siria, un paese devastato dalla guerra dal 2011, perché contagiose. Il papa non ha detto nulla in pubblico, ma regalando all’ospite un medaglione raffigurante un angelo ha commentato: «Questo è l’angelo della pace che strangola il demone della guerra». Dialogo, pragmatismo e critiche per metafore.
Sia a Roma sia in altre città italiane l’arrivo del sultano di Ankara ha provocato manifestazioni di protesta, in particolare di associazioni di curdi. Tanti gli striscioni alla manifestazione nella capitale a Castel Sant’Angelo: “Stato turco assassino”, “Boia Erdogan! Giù le mani dal Kurdistan”, “Erdogan = Turchia autostrada per i terroristi”. Al termine del sit-in un gruppo di partecipanti, dietro allo striscione “Erdogan boia”, ha cercato di partire con un corteo non autorizzato verso San Pietro. La polizia, in tenuta anti sommossa, li ha caricati. La Fnsi (il sindacato dei giornalisti) e Articolo 21 hanno puntato il dito contro le repressioni dei diritti umani e della libertà d’informazione (sono 150-170 i giornalisti detenuti nelle prigioni turche).
Il sultano Erdogan punta a fare di Ankara la potenza regionale egemone del Medio Oriente. E in questa prospettiva attua una politica militare sempre più aggressiva. Però sia le iniziative militari all’esterno sia le repressioni delle libertà e dei diritti umani all’interno, sono dati difficilmente conciliabili con la confermata volontà di aderire all’Unione europea (per questo obiettivo conta sull’aiuto dell’Italia) e con l’appartenenza alla Nato.
Erdogan cerca di alternare azioni militari, di ordine pubblico, economiche e sociali per ottenere risultati sia sullo scacchiere mediorientale sia su quello europeo. Un suo punto di forza sono i rifugiati. All’Unione europea ha chiesto e, in parte già ottenuto grazie soprattutto ad Angela Merkel, ben 6 miliardi di euro come compenso per ospitare oltre 3 milioni di sfollati siriani. Se il flusso di euro verso Ankara si dovesse interrompere, il sultano turco potrebbe riaprire il “rubinetto” dei rifugiati verso il nord Europa, un mare che ha terrorizzato la cancelliera tedesca.
“Mamma li turchi!” si sente ancora dire oggi tra il serio e il faceto. Qualche secolo fa questa era una delle grida di allarme per le sanguinose scorrerie delle milizie saracene, in genere basate in nord Africa, sulle coste dell’Italia meridionale (in particolare della Puglia). Allora il terrore arrivava dal mare, improvvisamente, portando morte, rapine, violenze di ogni tipo. “Mamma li turchi!” è rimasto nell’immaginario collettivo nonostante le tante generazioni passate.
R.Ru.