La CGIL di Roma e del Lazio verso il XVIII congresso nazionale. In questi giorni gli organismi direttivi della CGIL, ai diversi livelli hanno discusso e validato un documento: “Il lavoro è” che, nei prossimi mesi, sarà alla base del dibattito congressuale nelle assemblee degli iscritti. Le proposte contenute nel documento sono il frutto di un percorso nazionale partecipato svoltosi in 1.497 assemblee generali (composte da circa 20.000 componenti).
I temi affrontati si intrecciano con le declinazioni e le peculiarità che si riscontrano nei distinti territori in cui il sindacato agisce e laddove pratica la contrattazione sociale territoriale. Una lettura ragionata del documento evidenzia una analisi aggiornata del contesto istituzionale, delle soluzioni e delle iniziative da assumere per mantenere, in un quadro di scelte pubbliche oggi incerte e di definanziamento costante dei servizi pubblici, l’esigibilità dei diritti sociali acquisiti negli anni ma da tempo messi in discussione. Il che avviene centralmente e localmente.
Va preso atto che, sempre più spesso, una letteratura, anche di provenienza sindacale, si è adagiata sull’idea che il welfare debba acconciarsi ad essere la tutela per le persone più fragili o più esposte alla marginalità sociale, “gli ultimi” e che per gli altri la soluzione, con la riduzione drastica del ruolo pubblico, sia la costituzione di un forte pilastro privato per la sanità e per il sociale.
Un modello di sistema sociale che prevalentemente trasferisca gli oneri su singoli e famiglie che dovranno rivolgersi al profit ed all’impresa sociale o che si impegneranno direttamente con il “fai da te”, ricevendo un contributo economico, come previsto da alcune leggi regionali per i familiari caregivers.
Il punto di partenza de”Il lavoro è” è il contrasto alle tendenze in atto mirate a contrarre il perimetro dell’intervento pubblico. È questa una affermazione impegnativa che va in controtendenza rispetto alle ricette di segno inverso che vanno dall’enfasi di RBM Salute e Censis sulla necessità di un secondo pilastro per la sanità, al ritorno al “fai da te” nel sociale attraverso l’incentivazione economica del lavoro di cura domiciliare da affidare ai familiari.
Il documento della CGIL riconosce, a ragione, il valore dell’azione sussidiaria del capitale sociale territoriale, cioè di quella “rete di welfare solidaristico e inclusivo”, ben presente anche nel Lazio, ma esplicita che lo stesso deve essere incardinato su un “governo pubblico” del sistema di diritti tutele e protezioni.
Quella di nuovi equilibri fra government nazionale e regionale è una questione posta da tempo.
Superando, in armonia con il dettato costituzionale, alcune derive riscontrate a seguito della normazione “federalista”, si ricomporrebbe, valorizzandolo, sia il ruolo dello Stato Centrale che quello dello Stato delle autonomie ridando alla Conferenza Stato – Regioni il ruolo positivo avuto per diverso tempo.
Con il documento “Il lavoro è”, la CGIL sottolinea l’esigenza di ridefinire “in maniera appropriata il perimetro pubblico entro il quale si esercita la gestione dei servizi”.
In ogni regione il rapporto fra pubblico e privato ha assunto configurazioni diverse. In ogni regione una proposta di ridefinizione del perimetro pubblico parte dalla situazione di fatto determinata da scelte pubbliche fatte nei decenni scorsi.
La Regione Lazio anche prima dei processi di riforma sanitaria e sociale (legge 833 e legge 328) è stata fortemente caratterizzata da un sistema privato molto presente. Nel Lazio, per il blocco del turn over e sotto la spinta delle difficoltà finanziarie a garantire livelli qualificati di offerta pubblica dei servizi sociali e sanitari, da decenni si è attivata anche una estesa esternalizzazione di servizi che ha prodotto, a parità di contenuto professionale, una rottura dell’unità dei lavoratori con trattamenti tra i più diversi, fenomeni di precariato risolti sovente con sanatorie.
Il sistema privato è stato rafforzato e esteso. Complessivamente una massiccia riduzione del ruolo pubblico, scelte pubbliche che spesso hanno spostato risorse e attribuito funzioni rafforzando il privato, che nella Capitale è rappresentato da tanti enti religiosi e da imprese laiche.
La Regione Lazio in quanto a offerta sanitaria da decenni viaggia con un rapporto percentuale quasi paritario con le strutture private AIOP e “classificate”, di proprietà della Chiesa cattolica.
Ridefinire i confini fra pubblico e privato significa far recuperare terreno al pubblico, reinternalizzando servizi divenuti più costosi e meno efficaci, assumendo con concorsi pubblici personale a tempo indeterminato, rinnovando le tecnologie. Il rilancio del ruolo pubblico non passa dalla proclamazione dei principi ma dai comportamenti concreti della giunta regionale.
La condizione della città di Roma, la capitale del paese, per il sindacato è un nodo di nodi che non si sciolgono. Il tema della legalità nella pubblica amministrazione e nei servizi è uno dei nodi primari emersi in modo dirompente nel sociale con “mafia Capitale” e recentissimamente intorno all’avvio dello stadio della Roma.
Una profonda rotazione degli addetti del dipartimento sociale era stata annunciata. Se non si procede con fermezza ad illuminare tutte le aree grigie e se non si rimuovono rendite di posizione note, i risultati saranno quelli non auspicati. Il sindacato non si sostituisce alla politica che pure non è stata in grado né di dare risposte, né di capire le ragioni dei tanti resi poveri. Il sindacato tuttavia ha di fronte a sé una tale crescita delle diseguaglianze da non potersi sottrarre alla sua responsabilità sociale che è quella di dare le risposte giuste.
La rottura tra mondo del lavoro e rappresentanza politica è da tempo avvenuta e se ne deve prendere atto. Anche nel Lazio le forze politiche hanno confidato che la quadratura del cerchio dello sviluppo passasse dalle migliori condizioni per l’impresa da lasciare più libera da vincoli che il mondo del lavoro le ha sempre voluto porre. Il sindacato, nel suo ruolo di rappresentanza del mondo del lavoro e nella sua azione di negoziazione, ha dovuto registrare anche da parte delle controparti istituzionali ora una avversione ora indifferenza rispetto alle istanze ed al ruolo sindacali. Il più evidente indicatore lo si è visto nella scelta della disintermediazione, che nella versione soft praticata dal centrosinistra è consistita in protocolli di impegno al confronto successivo nel merito, di fatto, quasi costantemente disatteso.
Non può considerarsi peregrina l’idea che il sindacato non possa osservare, ancora nel 2018, il permanere dell’onda lunga della disintermediazione senza trarne sul piano concreto le dovute conseguenze.
Le conclusioni del segretario generale Michele Azzola nell’ultima Assemblea regionale della CGIL di Roma e del Lazio ben hanno sottolineato come la contrattazione sociale territoriale presupponga cambiamenti nella pratica e nell’azione sindacale. Essere conseguenti e cambiare è una necessità oltre che un effettivo impegno cui dare subito seguito. Contrattare per le persone e per i territori, contrattare per lo sviluppo sostenibile e il lavoro è obiettivo strategico che il sindacato non può rincorrere con una azione “per campagne singole” che a loro volta inseguano la road map istituzionale fatta di stop e go, di frenate e di passi indietro.
Il documento congressuale in tal senso è decisamente esplicito laddove rammenta quanto importante sia “la negoziazione e la vertenzialità sulle precondizioni e le scelte superando la frammentarietà e la occasionalità nel rapporto con le istituzioni e codificando il ruolo negoziale delle associazioni sindacali”.
L’aggiornamento delle piattaforme sociali e sanitarie delle categorie sindacali deve poter passare dalla loro armonizzazione e complementarietà in una logica confederale necessaria quanto dovuta ai cittadini.I diritti universali messi in discussione hanno bisogno di essere difesi da tutti.Il welfare aziendale sovente sostitutivo di quello pubblico è una apparente scorciatoia del “fai da te” a dimensione collettiva.
Il documento congressuale della CGIL esprime una forte preoccupazione: “Vanno evitati i rischi di una corporativizzazione delle categorie alle prese con l’acquisizione di un welfare aziendale che non è il welfare di tutti ma che viene sostenuto finanziariamente da tutti, ivi compresi coloro che, pensionati e giovani senza lavoro ne sono esclusi. Si tratta di un welfare che non riduce le diseguaglianze e non garantisce coesione sociale”.
Nella regione Lazio cresce il numero delle persone che non riescono a curarsi perché il sistema pubblico lascia crescere tempi di attesa che non ti consentono di curarti quando ne hai bisogno. La mancanza di risorse economiche necessarie per accedere all’offerta sanitaria privata chiude il cerchio della impossibilità a curarsi. C’è un quadro politico non privo di rischi per l’esigibilità dei diritti.
Per la cronicità: mancano tante Case della salute, pochi sono i PDTA (i percorsi diagnostici terapeutico assistenziali).
Per il Sociale: manca il Piano sociale regionale, manca il Piano sociale cittadino di Roma).
Il sindacato deve dare continuità alla sua iniziativa e lo deve fare impegnando tutte le sue strutture. I fatti si son incaricati di dimostrare l’inadeguatezza delle forme di mobilitazione sporadica. Il documento della CGIL sottolinea con forza l’idea che il sindacato, con le proprie proposte e con la sua iniziativa, ha la responsabilità di tenere aperta la prospettiva di una politica progressista in grado sopra tutto di fare bene nel momento in cui si trasmuta in istituzioni.
Per sua natura non spetta al sindacato il compito di sostituirsi alla politica; gli spetta tuttavia primariamente la responsabilità di costruire l’unità sindacale nell’autonomia. La ragione d’essere fondamentale di un sindacato confederale è la contrattazione che se unitaria rafforza l’unità dei lavoratori.
Anche nella regione Lazio tale strumento -la contrattazione- ha il fine di perseguire quel principio di eguaglianza dei cittadini che si sostanzia -come afferma il documento congressuale- nella garanzia dei “diritti sociali e di cittadinanza attraverso la funzione di tutela universale assicurata dal sistema integrato dei servizi”.
La piattaforma rivendicativa dello SPI CGIL di Roma e del Lazio lo pone al centro della discussione congressuale con una declinazione dei temi nazionali da tempo fatta nella dimensione regionale e di Roma Capitale.
Il fine è di promuoverne la concretizzazione degli obiettivi, responsabilizzando ognuno dei propri iscritti partecipanti al congresso e volendo altresì far crescere nel sindacato e fra i cittadini la consapevolezza dell’importanza di un sistema sanitario e sociale pubblici e universalistici. La strategicità dei servizi pubblici-osserva il documento della CGIL- intesi “come settore di affermazione dei diritti sociali e di cittadinanza ma come elemento fondamentale della qualità dello sviluppo di un paese a vera misura della sua sostenibilità sociale”.
Molti sono i divari sociali e territoriali, anche del Lazio, che vanno superati. All’interno di un sistema territoriale la sostenibilità sociale consegue “alla capacità dei soggetti di intervenire insieme efficacemente in base ad una stessa concezione del progetto, incoraggiata da una concertazione fra i vari livelli istituzionali” (www.sogesid.it).
È questa una premessa che, sostanziandosi nel cambiamento delle relazioni fra controparti e sindacati e fra istituzioni, che oggi seguitano a non praticare la sussidiarietà istituzionale, può avviare una fase diversa di partecipazione vera delle comunità presenti nelle diverse parti che compongono il territorio del Lazio.
La polverizzazione dei comuni del Lazio, in specie di quelli montani e delle aree interne, dà un quadro di governance territoriale e istituzionale che non è in grado di rendere più forte la capacità di intervento sul territorio dei diversi stakeholders ed è il terreno naturale di interventi a pioggia che disperdono risorse. Per questo il sindacato deve assumere e promuovere l’obiettivo del cambiamento del sistema istituzionale regionale e del modus operandi della p.a. nell’anno 2018.
Nella Regione Lazio, è stato annunciato da tempo da parte del presidente Zingaretti un nuovo assessorato “per i piccoli comuni”, quando forse sarebbe più idoneo un “assessorato allo sviluppo dei piccoli comuni” (essenziale per le aree rurali) sul quale concentrare risorse da dedicare allo sviluppo di quei territori. Afferma al riguardo il documento congressuale “La CGIL è”: “serve rafforzare il processo di aggregazione e di associazione istituzionale nella gestione dei servizi…orientando con più efficacia le risorse verso i crescenti bisogni di tutela”.
Portare avanti il disegno di riordino istituzionale dopo la legge Delrio, dopo la legge c.d. Realacci ecc. rafforza anche lo sviluppo di un modello di contrattazione che fa oggi i conti con una organizzazione del sindacato CGIL sul territorio incongrua rispetto a quella istituzionale e che per questo dovrebbe essere oggetto di una valutazione a fini correttivi e in tempi certi.
Sono molti a sostenere come sia essenziale che si ricostruisca all’interno della CGIL un quadro di riferimento in cui tutte le categorie e tutte le strutture territoriali assumano la condivisione del sostegno al carattere universalistico del welfare, partecipando alla mobilitazione necessaria per la vertenza nazionale sanità e per quelle localmente aperte con il Comune di Roma e con la regione Lazio.