Diario de Noticias, il più antico quotidiano portoghese, ha chiuso i battenti. Nato nel 1864, ha attraversato tre secoli. Al suo posto, un’edizione online gratuita e un settimanale di carta che uscirà la domenica.
La morte di un piccolo giornale, per di più in un Paese periferico come il Portogallo, è stata accolta con l’indifferenza che si riserva a un decesso per cause naturali. Tra i necrologi, generalmente di circostanza, c’è però un commento che va al di là delle vicende del Diario, con un’analisi che affronta le ragioni della crisi dell’informazione e varca i confini del Portogallo.
Lo ha firmato, sul quotidiano Pubblico, José Pacheco Pereira, un ex deputato socialdemocratico ed ex vicepresidente del Parlamento europeo che da giovane ha conosciuto il carcere e la brutalità della polizia politica di Salazar. Oggi fa l’editorialista e raccoglie documenti politici in una enorme biblioteca.
Pereira parte dalla fondazione di DN: Nel 1864, il primo editoriale era un «documento notevole e assolutamente moderno». Con una “frase-programma” in cui il nuovo quotidiano s’impegnava a «registrare come possibile verità tutti gli eventi», in modo da permettere ai lettori di giudicare liberamente. Insomma, i fatti distinti dalle opinioni. Una “frase-programma” che, messa nero su bianco nel 1864, e in Portogallo, non era cosa da poco.
Il problema osserva adesso Pereira è che «non era vero, perché il Diario de Noticias fu giornale di interessi e di regime, ed è ancora meno vero adesso, con l’edizione online». Infatti, il quotidiano che nasce su Internet «beneficiando del valore residuo di una testata di prestigio non è un nuovo Diario de Noticias, ma un’altra cosa. Un sito di notizie senza i soldi per pagare il giornalismo di qualità, le inchieste e le opinioni serie».
Quanto al secondo ambizioso obiettivo enunciato nell’editoriale del 1864 (“interessare tutte le classi”) «nemmeno questo è stato vero». Il Diario, più che della gente comune si occupò del potere, sostenendo, apertamente e fin dall’inizio, la dittatura fascista di Salazar per poi virare a sinistra dopo la rivoluzione dei garofani del 1974.
Ma, secondo Pereira, nemmeno i giornali odierni fanno qualcosa per “interessare tutte le classi”. Anzi: «lasciano fuori dalle loro pagine la maggioranza del paese ignorando i problemi della vita quotidiana». Per dirla in maniera brutale: oggi «non esiste una copertura indipendente e priva di affari» ma solo quella legata alle «grandi società e ai centri di potere fattuale».
E così «l’arte e la cultura, spesso mediocre, ma urbana e di tendenza, hanno una copertura particolarmente acritica, ma con un posto nobile». La conclusione è affidata a questo esempio: «In Portogallo siamo nel mezzo della lotta degli insegnanti, cosa sappiamo della condizione di un insegnante oggi, in una scuola ordinaria, con studenti normali ma reali, quelli che esistono, quelli che ci sono?».
Naturalmente la situazione nel nostro Paese è identica. Con giornali e telegiornali che tutti i giorni, e quasi senza eccezioni, aprono sull’ultimo tweet di Salvini e sulle ultimissime promesse di Di Maio. Ma dei cinque milioni di poveri assoluti certificati pochi giorni fa dall’Istat sappiamo qualcosa?