La Conferenza di Palermo? Vado, non vado. Vado, non vado. Vado! Khalifa Haftar ha lasciato per settimane nell’incertezza Giuseppe Conte, poi alla fine è andato alla Conferenza internazionale sulla pace in Libia organizzata a Palermo dall’Italia e dall’Onu con 38 delegazioni (paesi arabi, europei, Usa e Russia).
Haftar, uomo forte della Cirenaica, è stato il protagonista della Conferenza di Palermo a Villa Igiea, la vera star. Il 12 novembre alla fine è arrivato, il 13 ha stretto la mano a Fayez al-Sarraj, suo avversario e premier del governo di accordo nazionale riconosciuto dall’Italia e dalle Nazioni Unite. Il presidente del Consiglio italiano, stretto tra i due, ha sorriso pieno di speranza: «Non dobbiamo illuderci, ma sono state poste premesse importanti» per arrivare ad un accordo per la pacificazione della Libia. Conte persegue “una strategia di inclusione” per un’intesa con tutte le forze libiche. Il prossimo appuntamento dovrebbe essere la Conferenza Nazionale di gennaio in Libia, passo fondamentale nell’agenda dell’Onu prima delle elezioni in primavera proposte da Giuseppe Conte.
La strada è lunga e difficile. Le premesse non sono positive. Haftar ha lasciato la Conferenza di Palermo prima della conclusione del vertice internazionale, disertando la riunione plenaria assieme al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Il generale ha precisato a una televisione araba: «La mia presenza è limitata agli incontri con i ministri dell’Europa», non con gli esponenti delle altre delegazioni, con cui «non ho nulla a che fare».
Comunque c’è una tregua con al-Sarraj: «Non si cambia cavallo mentre si attraversa il fiume». Una metafora intesa dai diplomatici presenti come un «viatico» per al-Sarraj, il cui posto non verrebbe messo in discussione fino alle “elezioni in sicurezza” in Libia proposte da Conte.
Il comandante dell’Esercito nazionale libico ha un pessimo rapporto con al-Sarraj, che controlla a stento la Tripolitania e la stessa Tripoli. Gli imputa, in particolare, la collaborazione con delle forze della Fratellanza musulmana, da lui considerate terroristiche. Ad agosto e settembre sono scoppiati violenti scontri a Tripoli e al-Sarraj ha rischiato perfino di essere disarcionato. Anche in quell’occasione si è sentita la voce minacciosa di Haftar: le forze della Cirenaica «non resteranno con le mani legate rispetto agli scontri a Tripoli».
La Libia è nel caos dal 2011, è scoppiata una interminabile guerra civile da quando è stato rovesciato e ucciso Muammar Gheddafi. Petrolio, terrorismo islamico e migranti africani in rotta verso l’Italia e l’Europa sono una spaventosa miscela che ha destabilizzato il paese nel quale si combattono circa 150 diverse milizie. La Libia è di fatto divisa in due entità politiche: la Cirenaica e la Tripolitania. Il petrolio e il gas sono le grandi ricchezze del paese nord africano a una manciata di chilometri di distanza dalle coste italiane. L’estrazione del greggio adesso viaggia ad oltre 1 milione di barili al giorno con un incasso previsto in oltre 23 miliardi di dollari nel 2018 (la produzione era di 1,6 milioni di barili ai tempi del rais Gheddafi ma era crollata alcuni anni fa ad appena 200 mila barili per la guerra civile). Il 20% del petrolio dell’Eni e un terzo del gas provengono dalla Libia.
Il dialogo è difficile. Haftar, espressione del Parlamento di Tobruk, è sostenuto dall’Egitto, dalla Russia e dalla Francia. Al-Sarraj è appoggiato dall’Italia, dagli Stati Uniti e dalla Turchia. Il generale ha un rapporto stretto, in particolare, con la Francia. Lo scorso aprile scomparve misteriosamente da Bengasi (alcune voci lo dettero perfino per morto) e, tra smentite e conferme, alla fine la Francia annunciò il suo ricovero in un ospedale di Parigi per imprecisate cure mediche. Emmanuel Macron, in competizione con l’Italia, a maggio organizzò una Conferenza di pace sulla Libia nella capitale francese che, però, non ebbe successo (erano previste le elezioni il prossimo 10 dicembre).
Alla Conferenza di Palermo non sono andati né Trump, né Putin, né la Merkel, né Macron. Al loro posto sono arrivati solo ministri e diplomatici dei rispettivi Stati. La Turchia ha lasciato in anticipo il vertice per protesta, in polemica con Haftar (ma il generale non è stato citato). Giuseppe Conte ha lanciato agli «amici libici» un accorato appello: «Vi prego, non ci deludete». I precedenti non sono certo positivi. Il rischio di un flop è forte.